Nati per volontà del compianto Chuck Greenberg, i “chicagoans” Shadowfax si fanno notare nel corso degli anni Ottanta per la seminale produzione sotto l’egida dell’etichetta Windham Hill. Mediante i lavori “Shadowfax” e “Shadowdance” , rispettivamente del 1982 e 1983, contribuiscono nel dare lustro al (già più che eccellente) catalogo della Windham e ottengono, tra l’altro, un discreto successo tra gli appassionati.
Nel 1985 la casa discografica decide di ristampare il loro album d’esordio, già uscito sotto altra etichetta (e diverso art work) nel lontano 1976: “Watercourse Way” mostra una band, già rodata da quattro anni di perfezionamenti, alle prese con il rock progressivo. L’Oceano Atlantico è immenso ma gli echi del prog britannico sono rilevanti, gli americani tuttavia imparano (come sempre) a plasmare la formula a modo loro. Dunque se da un lato la provenienza geografica li salva dall’ingombrante presenza dei cugini (e dal conseguente rischio di passare per anonimi o derivativi), dall’altro i nostri si sforzano a modo loro per generare qualcosa di insolito attraverso pesanti influenze fusion: il risultato è anomalo rispetto agli stilemi dell’epoca, un imbastardito progressive strumentale immerso in atmosfere naturalistiche, con l’aggiunta di fantasticherie certamente scaturite dalle opere letterarie di Tolkien (da cui il nome del gruppo).
Nel disco si stende, ad opera delle percussioni, la spessa e continua patina di un sofisticato intreccio ritmico, cui da manforte un corposo basso e, talvolta, ossessive tastiere. Su questo iniziale, robusto getto, la chitarra elettrica si infila e crea imprevedibili disegni in “The Shape of a Word” e “Linear Dance”. Segue un inaspettato intervallo bucolico (condito con echi medievali) in “Petite Aubade”, i cui solfeggi preparano la strada per la stratosferica, possente ma altalenante “Book of Hours”, forse la canzone esemplificativa del disco. Anticipata dalla naturalistica e sognante “Watercourse Way”, la seconda facciata termina con l’eterogenea “Song for my Brother”, sorta di ibrida ballata rock che si discosta da quanto ascoltato nei solchi precedenti.
Un lavoro forse acerbo dal punto di vista espressivo, ma tecnicamente superbo. Opera sostanzialmente atipica, espressione di una sorta di prog spurio ma sicuramente libero da compromessi. Gli amanti del prog albionico gradiranno?
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