Di solito i film incentrati sulle vicende legali sono estremamente lenti, per non dire pallosi nel loro incedere tra accuse, difese, testimoni, prove ecc... Non è il caso dell'ultima opera del regista ottantenne Sidney Lumet che, dopo "La parola ai giurati" e "Prove apparenti", torna ad ambientare un film nell'aula di un tribunale.
Un aula nella fattispecie stracolma perché l'oggetto del lavoro è la più lunga sentenza della storia degli Stati Uniti d'America: ben 21 mesi per venire a capo di 76 capi d'accusa per 20 imputati difesi da 19 avvocati. Perché solo 19? Perché il protagonista della storia, tale Jackie DiNorscio, decide di difendersi da solo rifacendosi ad un articolo della Costituzione statunitense. Al momento del processo questi stava già scontando una pena di 30 anni per spaccio e, non avendo nulla da perdere, decide di "fare da solo" per far fronte a questa nuova accusa. Invece che del solito legal-thriller siamo al cospetto di una commedia a sfondo legale in quanto l'ignoranza, la schiettezza e il rude parlato di Jackie fanno diventare il tribunale una specie di palcoscenico da cabaret.
Tutto il film si incentra sulla figura bonaria di questo malavitoso simpatico ed istrionico che, battuta dopo battuta, cerca di imbonirsi la giuria. E' il tipico film nel quale si fa il tifo per il "cattivo" (Jackie) e si odia invece il fare inquisitorio dell'accusatore. Non importa che Jackie spacci e si droghi, che vada a puttane, che chieda il pizzo e faccia veramente parte di una famiglia malavitosa che ha il controllo del New Jersey. Questo è secondario perché lui è una persona paradossalmente onesta che non tradisce la famiglia ed è pronto a farsi sparare da un cugino drogato e disposto a accollarsi tutta la condanna pur di non tradire i suoi amici e farli stare a piede libero. Quello che conta è la sua faccia da simpaticone insomma e il suo ridicolo fare in un'aula di tribunale.
In fin dei conti la storia è interessante e diversa dal solito, ma la trasposizione cinematografica della vicenda non mi pare particolarmente brillante. Il Carlton Mayers d'America, alias Vin Diesel (XXX, Fast And Furious, Pitch Black ecc...), ingrassato per l'occorrenza di una ventina di chili, calza a pennello nel ruolo di questa macchietta italo-americana, ma è proprio la costruzione del film che non mi ha convinto del tutto. Il problema risiede nel fatto che fin da subito si capisce come finirà il tutto. A mio parere si eccede sia nella retorica (discorsi conclusivi), nei discorsi da osteria di Jackie (che mi rifiuto di pensare possano essere stati accettati da un giudice) e nei personaggi di contorno davvero esagerati. Una marea di stereotipi: il giudice finto cuore di pietra e in verità buono come il pane, l'avvocato nemico-amico, l'accusatore bastardo che vuole rompere le scatole a dei simpatici malavitosi ecc...
Insomma un filmetto che poteva essere sviluppato meglio. Vin Diesel esce vincitore dimostrando un'inaspettata vena recitativa distaccandosi dal ruolo dell'iron man dai muscoli d'acciaio che spara frasi fatte a ripetizione e fa il culo ai cattivi di turno. Lumet sembra invece che abbia perso la sua creatività limitandosi a dare alla luce un prodotto di fin troppo facile assimilazione che è stato bocciato persino al botteghino. Semplicemente inutile e sorretto quasi esclusivamente dalla curiosità di vedere Vin Diesel in un personaggio così diverso dal solito.
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