Il thrash metal è un compagno occasionale per questo gruppo tedesco, figlio degli anni '80, un collaboratore efficiente ma scomodo. I Sieges Even prendono il suono grezzo del metal tedesco come accalappiare il bus, per giungere alla prima stazione progressive già stanchi della ritmica abrasiva, troppo inadeguata per la loro verve tecnica, per la loro brama di geometrie pulite e pregne di dinamismo. Siamo su lidi techno-thrash: la tecnica che compie acrobazie senza rete sopra un suolo musicale made in Alemannia, prodotto da Kalle Trapp (già al lavoro con Violent Force e Pestilence).

Nati nel 1985 a Monaco di Baviera, giungono all'album d'esordio "Life Cycle" del 1988 dopo aver pubblicato ben 3 demotape autoprodotti. La formazione comprende Franz Herde alla voce, Markus Steffen alle chitarre ed i fratelli Oliver ed Alex Holzwarth, rispettivamente basso e batteria, futuri Blind Guardian e Paradox. Fra le 7 canzoni di "Life Cycle" non troviamo baraonda metal, ma continui cambi di tempo, inserti jazzati, arpeggi elettrificati, che richiamano la copertina: cuore e cervello sono un tutt'uno con la macchina. Ed in effetti la sezione ritmica appare perfino robotica nei meccanismi, negli stacchi speed, anticipando la matematica furia degli Atheist, in particolare della coppia Flynn-Patterson. Verrebbe da scomodare, per i paragoni, pure i Watchtower, senz'altro più abili nel tessere trame digeribili, senza necessariamente scadere nel banale (parliamo dell'eccellente "Energetic Disassembly"), oppure gli altrettanto compatti Realm di "Endless War". Sembrerebbe tutto a posto ma c'è anche il cantante Franz Herde che insiste nel cantare sulle tonalità alte di Bruce Dickinson per tutto il disco, non partecipando al songwriting (anche se la musica è a nome Sieges Even), ma continuando a inserirsi in mezzo alle trame dei tre musicisti, come si intrufola un attaccabottoni fra tre spiriti magni che stanno discutendo avvolti nei loro pastrani, magari davanti a qualsivoglia città murata italiana (Cittadella, Montagnana o San Gimignano). Il povero tapino tenta con vari "ahem..." di dire la sua ma viene marcato e chiuso dal cerchio dei grandi filosofi. Per bocca del cantante prendono forma attacchi al regime dittatoriale del Cile, come nella splendida opener "Repression And Resistance":

"Attendiamo il Santo Padre e le sue benedizioni promesse/Parlando di democrazia e carità/Tutti in una volta i raggi di speranza sono infranti negli stadi del Cile/E la resistenza è scritta soprattutto negli occhi di un bimbo di contadini affamati..."

Si parla del ciclo vitale, che viene alterato, nella title-track:

 "...È apparsa una nuova vita - la nascita di un altro legame in un profondo processo/Di alterazione e di progresso, nulla rimane uguale/Come un uovo del girino alla fase la fase finale/Tutto si sviluppa, impara, non c'è ragione quasi sempre rima!/Come la scalata di uno spirito che un giorno, in qualche modo si concluderà/Anche il ciclo di vita del mondo termina quando la progressione è alterata (sinteticamente)..."

I due pezzi strumentali, ovvero "The Roads To Iliad" ed "Arcane", si collocano all'opposto l'uno dell'altro. Il primo appare talvolta indigesto, ma anche ben concepito, nonostante la forma canzone venga dissolta, sacrificata in nome di scorribande tecniche, molto d'atmosfera e comprensibili al nostro orecchio profano, cervellotiche, affascinanti senz'altro. Il grande pregio dell'album è il fatto di rigenerarsi ad ogni ascolto, grazie anche alla produzione di Kalle Trapp che appare buona, ben bilanciata, priva di preferenze verso uno strumento o l'altro (guai a limitare la verve dei fratelli Holzwarth). "Arcane" è all'opposto una scaglia acustica, inferiore al minuto, del chitarrista Markus Steffen, quasi una dimezzata "Bron-Yr Aur" amabile dichiarazione di sintesi chitarristica, in mezzo a pezzi dal minutaggio elevato. Si riparte con il mito di Atlantide che aggancia e suggestiona le trame sonore in "Straggler From Atlantis" (oltre 12 minuti!) oppure della stella di "David" calpestata nei campi di concentramento ("But at nightfall of civilisation, when reason fell and Fascism prevailed A malpractice tarnished the world, rendered by a subservient mass!"). L'uomo non ascolta la ragione e cerca di dimenticare volontariamente, chiudendo gli occhi davanti alla storia, questo il messaggio del quartetto di Monaco, accompagnato da un suono epico, acustico, con la sezione ritmica delicata che tuttavia decolla dopo un paio di minuti, per riprendere il filo perduto del metal iper tecnico.

La scelleretezza del thrash tedesco viene solo accennata, non certo organizzata, come veicolo principale per trasportare le emozioni dei pezzi nel nostro animo, con la conseguenza che nel seguente album "Steps" il thrash viene eliminato in favore di un approccio totalmente progressive rock più genuino, anche se è difficile etichettarlo, più consono ad evidenziare le trame sonore razionali. E senza nessun rimpianto per il suono raschia e gratta, per il sentirsi in lotta con le altre band tedesche del tempo, per la velocità slayeriana solo accennata, per gli assoli più pensati e meno grezzi. Qui non si può parlare di "gran rifiuto" ma semplice passaggio in acque thrash che ritorneranno a bagnare ancora i fratelli Holzwarth, chiamati a risollevare le sorti dei Paradox nel comeback "Collision Course" del 2000. Ovvero a rinverdire la velocità e la tecnica per il quasi ventennale combo tedesco.

Nel booklet interno si trova l'aforisma di Brecht, tratto da la "Vita di Galileo": "Chi non conosce la verità è solo un ignorante, però chi la conosce ma la chiama menzogna, è un disonesto". Quindi non solo quattro musicisti impegnati a smuovere plettri e bacchette, ma persone che prendono posizione, mostrano le loro convinzioni assieme al messaggio sonoro. Un segno di maturità che è già il segnale della voglia del guppo di guardare oltre questo disco, al di là del suono grezzo del thrash anni '80.

"Life Cycle" è dunque un buon disco, uscito nel momento giusto della sperimentazione di molte band, se vogliamo, ma non imprescindibile, straripante nella quantità di geometrie, macchiato da una prestazione vocale non all'altezza e con il piccolo difetto della tecnica che viene prima del songwriting, mentre il cervello comunica col cuore attraverso i circuiti, generando fredde emozioni. Come un tuffo nelle gelide acque di un lago scozzese.

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