Superati l'orrida copertina (quivi riproposta nella versione più accettabile) e la cacofonia del titolo, ci troviamo di fronte ad uno dei dischi più riusciti di Sinéad "irish princess" O'Connor dai tempi di "Universal Mother". Dieci-brani-dieci che attraversano più o meno tutti i territori musicali affrontati dalla cantautrice irlandese in oltre 25 anni di carriera. Si comincia con l'afro-beat di "4th & Vine" ci si strugge con le ballad di "Reason With Me" e "Back Where You Belong" e si atterra con la conclusiva, scarna, quasi acappella, "V.I.P.".

Dopo anni di rìvoli, polemiche, dischi a tema, matrimoni, divorzi, fintolesbismo, gravidanze, celodurismo nei confronti della chiesa, fotostrappo, tatuaggi, canne al vento, Bono-stai-bono, pretipedofili, oprahwinfrey, finto bipolarismo, lacrime&sangue e twitter, Sinéad tira fuori dal cilindro un disco coi controargomenti, cantato dad'dio e nel quale la scrittura si risposa con la furia di the "Lion & The Cobra" e l'afflato poetico di "I Do Not Want"...

Ascoltare "Take Off You Shoes" per ritrovare il crescendo di "Troy" plus il pathos di "Feel So Different". "Queen of Denmark" è una canzone di John Grant (disco assolutamente da possedere il suo) privata delle rotondità dell'originale e alla quale Sinead stringe i testicles per poi poterla risputare cattiva, ruvida, definitiva. Una "Nothing Compares 2U" versione 2.0 insomma. Altrove Sinead è chioccia, tranquilla, accomodante come in "Very Far From Home" o la stupenda "I Had A Baby". Musicalmente non si strafà. John Reynolds conosce Sinead da 30 anni. Lascia spazio alla voce, bella (come nel prezioso "Sean nos nua" del 2002) e al carattere ambivalente della ormai quarantaseienne matrona.

"How about i be me..." è un disco che i fan di Sinead ameranno molto, per via di quel suo piacevolissimo sapore di deja-vu, ma difficilmente conquisterà nuovi adepti. Vale più di un ascolto.  

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