6<OMM & Freya Aswynn - "The Fruits of Yggdrasil", 1987

 

Il 1987 è un anno chiave per il folk apocalittico: nel 1987 viene dato alle stampe il "Brown Book" dei Death in June, divenuto poi il manifesto del genere; il 1987 è anche l'anno di "Swastikas for Noddy", album cruciale nella carriera dei Current 93, poiché sancisce il passaggio dalle crude perlustrazioni industriali delle origini ad una dimensione più propriamente folk. Il 1987, infine, segna il debutto della terza entità cardine del folk apocalittico, i Sol Invictus di Tony Wakeford (ex Death in June), il quale se esce con l'EP "Against the Modern World".

Il 1987, molti lo ignorano, è anche l'anno di pubblicazione di un gioiellino che merita di non essere dimenticato e seppellito dalla polvere del tempo: parlo di "The Fruits of Yggdrasil", non direttamente riconducibile al genere, ma pur sempre collegato alla scena per via dei nomi coinvolti.

Per chi non lo sapesse, Sixth Comm è il progetto di Patrick Leagas, anch'egli ex Death in June, il quale, all'indomani dell'uscita di "Nada!", intraprende il suo percorso solista all'insegna di un dark più canonico e direttamente ancorabile alla wave ottantiana, ma non privo di fascino e profondità (ma di questo parleremo in separata sede).

Freya Aswynn è invece una signora ben nota nel panorama apocalittico del periodo, la cui impronta è rinvenibile nel già citato "Swastikas for Noddy" della Corrente e successivamente nei lavori di Fire + Ice. Non proprio una cantante, la Aswynn è una studiosa di mitologia nordica e testi runici, a cui ha dedicato libri ed articoli, oltre che la vita stessa (fin tanto, a mio parere, da perderci qualche rotella...).

Dall'unione di questi due personaggi (ritratti nel suggestivo bianco e nero della bellissima foto che campeggia nel retro-copertina: Leagas incappucciato e nero vestito, la terribile Aswynn dai lunghi capelli biondi e dal volto rugoso, erta fra gli spogli alberi di un cornice boscosa poco rassicurante) scaturisce uno degli album più sensazionali che il panorama esoterico abbia conosciuto.

Riconducibile ai primi lavori dei Current 93, e (più vagamente) alla Diamanda Galàs dell'era "Divine Punishment/Saint of the Pit", "The Fruits of Yggdrasil" costituisce in realtà un album unico nella sua specie. Prima ancora che musica in senso stretto, "The Fruits of Yggdrasil" ci suona piuttosto come un sentito tributo alla mitologia nordica, un qualcosa che oscilla misteriosamente fra un trattato scientifico ed un'invocazione misterica dove arcano e soprannaturale copulano come difficilmente ci è capitato di sentire altrove.

Yggdrasil è, secondo la mitologia norrena, l'albero cosmico, l'albero che sorregge i nove mondi (che compongono l'Universo), l'albero che affonda le radici negli Inferi e che con i suoi rami sorregge la Volta Celeste: il "Patibolo di Odino", secondo il mito per cui Odino, al fine di raggiungere la sapienza superiore, si sacrifica pendendovi nove giorni e nove notti.

L'albero alla cui base sorge la fonte della sapienza, per accedere alla quale Odino ci rimette un occhio; l'albero da cui fioriscono le Rune, i simboli attraverso cui Odino diffonde la sapienza nell'Universo.

"The Fruits of Yggdrasil" si articola così in otto invocazioni, scritte ed interpretate dalla Aswynn, attingendo direttamente dall'Edda (i tre poemi prescelti sono "Hamaval", "Voluspa" e "Sigdrifamal") e dai passi dello Zarathustra di Nietzsche.

Leagas, forte della sua versatilità e della sua confidenza con gli strumenti più disparati, è in grado di generare landscape sonici che sanno coniugare alla perfezione crude escursioni industriali ed arcane litanie rituali. Percussionista di professione, ma anche abile trombettista, e competente dietro alle tastiere come dietro ai sintetizzatori, svolge il suo lavoro con gelida efficacia, senza mai sottrarre la scena alla Aswynn, vera protagonista dell'opera.

La performance vocale dell'oscura sacerdotessa è indescrivibile e fuori da ogni schema canoro: fra allucinate recitazioni e raggelanti rituali, Freya Aswynn riesce ad incollarci al muro e terrorizzarci solo con la sensazione di arcano ed ancestrale che il suo poderoso e straniante canto è in grado di evocare. La sua voce è solo uno strumento atto a svelare i segreti delle Rune, il suo svolazzare inquieto non scade mai in soluzioni direttamente horror, eppure il sangue si gela laddove è possibile udire quella voce sgraziata e claudicante impennarsi all'improvviso e declamare versi indecifrabili, appartenenti ad epoche remote. 

Da brividi la prima composizione "Havamal", dodici minuti di "invocazioni free" (dalla cui idea l'intero progetto parte, da ritenere quindi l'episodio cardine dell'opera) in cui riconosciamo alcuni dei rituali che hanno presenziato e presenzieranno in album di certi altri protagonisti del folk apocalittico (Current 93 e Sol Invictus su tutti). A spaventare sono i terribili acuti della Aswynn che irrompono nel bel mezzo delle narrazioni, pregne di formule magiche, parole incantatrici appartenenti a lingue arcaiche, magiche prima ancora che musicali. Il rombare marziale dei tamburi di Leagas, gli squarci di una elettronica glaciale e la solennità delle trombe che richiamano un certo immaginario bellico (marchio di fabbrica dell'ex Death in June) fanno il resto, ergendo un rituale che non trova paragoni nella musica esoterica moderna.

I sette brani che seguono, molto più brevi, risultano meno incisivi, e quasi dei riempitivi chiamati a far da corollario alla monumentale opener (richiamata in "Sigdrifamal", l'altro brano complesso dell'album).

Tuttavia, più per l'intelligenza compositiva di Leagas che per l'intransigenza concettuale della Aswynn, gli episodi scorrono senza intoppi, ciascuno con una propria identità ben definita. "Voluspa" si fregia dei rintocchi sinistri di un pianoforte, mentre un'incantevole arpa va a rasserenare gli umori in "Wotan". Il suggestivo ululare dei lupi e l'improvviso scroscio di un temporale incrinano la tensione irrisolta di "Invocation of the Gods"; avvolgenti tastiere, infine, trasportano la fiabesca "North Star", che, forte di una cadenzata drum-machine, ci suona come il frangente più musicale del lotto.

Freya Aswynn, intrappolata negli esigenti schemi concettuali dei suoi rituali, non concede molto alla musicalità. Solo in "Nothing" si applica in temibili stratificazioni vocali (frutto di sovra-incisioni), richiamando le gesta più infernali della Galàs. Al repertorio della cantante greco-americana è riconducibile anche l'aspro finale di "Ragnarok", echeggiante i bruschi toni di una infuocata (pseudo) Carmina Burana.

Complimentoni quindi a queste due personalità del sottobosco dark britannico, mentre a noi non resta che annichilirci nell'oscurità delle nostre stanze ed annullarci sotto i colpi di queste otto disumane odi che sembrano scritte per aprire porte ad altri mondi. Parola d'ordine: HAGALAZ HAGALAZ!

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