“L'impossibilità del Fiumani”

Cazzo, sono quasi due settimane che inseguo l'ultimo dei Diaframma, sembra un incontro di Boxe fra me e i miei impegni, Tre Volte Lacrime, ma niente da fare, circostanze sfortunate e fortuite, orari improbabili a lavoro che poco si conciliano con quelli del negozio di dischi; infine stasera, la neve, un'uscita anticipata da lavoro che però coincide fatalmente anche con l'uscita anticipata del gestore del negozio, chiuso anche stasera.

Evidentemente Difficile da Trovare.

Ed allora “Niente di Serio” lo recensirà qualcuno più fortunato di me, ma cosa dunque recensire in questa serata di Gennaio, in Perfetta Solitudine, in questa Siberia dei sentimenti in cui il tempo ci appare sospeso, congelato, enormemente dilatato per via della neve che ci costringe al focolare domestico a far niente ad orari troppo precoci per coricarsi serenamente?

Ok, mi tolgo il dente, scrivo di te, o Anna/Varney Cantodea, allora scrivo di te e di questo lavoro di cui qualcosa andava scritto da tempo, ma che proprio non mi toglie le parole di bocca. Non ne ho voglia, ma se Fiumani non c'è, allora scrivo di te, o fabulous Anna/Varney Cantodea.

Dunque, partiamo dall'essenziale: 2010, EP, prima parte di una trilogia (la cosiddetta Trilogia dei Fantasmi), a cui seguiranno il full-lenght “Have You Seen this Ghost?” (2011) e l'altro EP “Children of the Corn” (ancora del 2011). Ottima produzione a cura di Patrick Damiani, quello dei Rome (strano però).

Passiamo al futile: soliti Sopor Aeternus, poche novità rispetto al lavoro che l'aveva preceduto, quel “Les Fleurs du Mal” che aveva oramai settato le coordinate stilistiche dei Sopor Aeternus a metà strada fra musica da camera e horror-pop. Sì, si apprezza la crescita dell'artista, dell'uomo o donna che sia, oggi i Sopor Aeternus sono più simpatici, divertenti se vuoi, grotteschi se preferisci, ironizzano su temi scabrosi, scherzano sul sesso, strizzano l'occhio alla pop-wave degli anni ottanta.

Ma sostanzialmente: annoiano.

O meglio: continuano ad essere i Sopor Aeternus, unici ed inimitabili, chi li ha adorati continuerà ad apprezzarli, ma qualcuno si potrebbe anche stancare, e forse il pregio maggiore di questo lavoro è proprio la sua durata piuttosto contenuta (trenta tre minuti, nemmeno poco se si pensa ad un EP di soli cinque pezzi + una bonustrack).

Rispetto al recente passato, la poca elettronica rimasta viene praticamente abolita, l'afflato gotico rispolverato (ma un gotico da novella ottocentesca, non quell'orrore atavico e senza tempo a cui ci eravamo piacevolmente assuefatti), esasperato il lato grottesco e rinvigorita la vena romantica (la Trilogia, questo va rammentato, è un tripudio di amore non corrisposto e un coacervo di pulsioni sessuali represse). Vengono però conservate anche quelle atmosfere barocche e saltellanti che fanno del loro artefice oggi un pupazzo di nevrosi variopinte che oramai va preso com'è, senza tanti spergiuri. Nevrosi sì, però altamente sotto controllo, quasi da fumetto o da cartone animato: “A Strange Thing to Say” è una perfetta macchina del dolore, piagnistei orchestrati al millimetro su una base altrettanto cronometrica dove tutto è al posto giusto, ma dove evidentemente manca qualcosa. No, io non ci sto!, io ci credo!, fra un po' la fabulous Anna/Varney Cantodea si stancherà di questa nuova veste di ilare folletto dell'agonia, e tornerà quella merda catacombale che amava starsene al buio per non vedere gli altri e non vedersi se medesima, tornerà la merda a riaffiorare da un vaso che di merda ne contiene sempre abbastanza, passeranno i sogni e le fantasie, e quindi tornerà la vera merda, quella che non ti puoi nemmeno guardare allo specchio! Se poi la fabulous Anna/Varney tornerà a vestire gli abiti di una vedova in lutto eterno per l'uomo che non ha mai avuto o si sdraierà nella bara in giacca e cravatta quale impiegato di banca che sarà, questo si vedrà, ed ogni cambiamento, in avanti o in dietro, verrà apprezzato, ma in qualche modo dovrà maturare o regredire e lasciarsi i Puffi alle spalle.

Per l'amordiddio, non è mica un disco di Tiziano Ferro, palate di sensazioni fastidiose sono sempre lì pronte a posarsi sul nostro palato, cosa recriminare del resto a composizioni complesse e dinamiche come l'iniziale title-track (dieci minuti al cardiopalma, una girandola di isteria circense, fra grida strozzate ed una batteria battente che nel ritornello pompa quasi fosse un disco di King Diamond) o la terza traccia che porta l'improbabile titolo di “The Urine Song”? Ma anche quella che era apparsa una simpatica novità (ossia un'attitudine più ironica ed auto-ironica nel maneggiare la propria distorta emotività) adesso finisce per stancare, diventando manierismo, come tutto il resto, del resto, ossia i soliti archi, i soliti tromboni, le solite scampanate, i soliti svolazzi vocali, la solita pomposa suite da camera senza capo né coda con cui la fabulous Anna/Varney Cantodea ama ammorbarci da un po' di tempo da questa parte. Ma l'idea dove è finita? Dove l'ispirazione? Dove, soprattutto, il colpo di genio?

Ed alla fine, proprio a colpire è il folle incipit di sola voce (non si sa se l'effetto finale sia più comico che straziante, ma questo poco conta, l'importante è essere oltre) della bonus track posta al termine dell'EP, quella “Oh Chimney Sweep” che mantiene comunque un legame tematico con il resto, riprendendo le strofe di “Polishing Silver”. Solo in quel frangente ho riassaporato la grandezza che fu, o fabulous Anna/Varney Cantodea.

Per il resto, Niente di Serio.

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