Non bisogna sforzarsi di essere qualcun'altro, qualcos'altro. Semplicemente si è. Basta vedere la fragile determinazione di un Vic Chesnutt.

Ma anche Mark Linkous è l'emblema del predestinato. Non al suicidio. Ma ad arrendersi alla stupida convinzione di potersi aspettare chissà cosa dalla vita. Bisogna saper viaggiare e sognare. Avere davanti a sè sempre l'orizzonte preferito e non passare anni, tempo e decadi in uno speranzoso decadimento.

Come un edificio in rovina.

Guarda quei padiglioni enormi. Quelle stalattiti pensanti cariche di vibrazioni. E' proprio lì che si dovrebbe aspirare. Ad erigere una struttura del tutto personalizzata e incodizionata a doveri, routine e piaceri obbligati.

Non mi sposerò mai, non andrò mai al parco con un bambino, destinato a vivere in casa tua e a dover esserti figlio. Perchè? Perchè uscire la domenica sera, vogliosi di ombre, luci artificiali e di relazioni sterili con baristi ed amici? Quanto è bello un lago, un tramonto, un fissare per alcuni minuti un arbusto, una campagna, l'erba alta e giocare con i volti delle nuvole. Tanto nessuno plasmerà il mio mondo..anche se in fondo lo vorrei.

Ecco, questo è quello che esplica l'ascoltare una canzone di Mark. Soltanto nell' analizzare la voce, il timbro e fantasticare sul suo stato d'animo nel momento che l'ha scritta. "Cow" è il pezzo mancante degli anni Settanta. Ma senza dover storicizzare tutto e tutti, come quel pazzo di io lirico di Keats con l'urna greca, godiamoci il carattere eternante dell'arte.

"Someday I Will Treat You Good" non è una copia di Nello Giovane e nemmeno un'imitazione dei Dinosaur Jr. di "Little Fury Of Things". E' l'alba di uno spirito libero, troppo prigioniero dei clichè. Maledette dottrine mentali convenzionali..

Chi produce arte non vivrà mai. Chi vive non potrà mai fare arte.

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