Spike Lee ha creduto fortemente in questo progetto: realizzare il remake del film horror sperimentale di “Ganja and Hess” (Bill Gunn, 1973). Si tratta di un film sicuramente anti-convenzionale e in maniera riduttiva presentato come il primo film horror diretto da Spike Lee, che per realizzarlo - in assenza di producer interessati - ha dato vita a un massivo progetto di crowdfunding. Girato con un budget ristretto in soli 16 giorni “Da Sweet Blood of Jesus” riprende in buona sostanza gli stessi contenuti del film originale, anche se poi questi sono effettivamente inquadrati all’interno dell’immaginario tipico del regista che ha caricato l’opera di forti contenuti simbolici e ideologici.

La storia è quella di un ricco antropologo afro-americano, il dottor Hess Green, che vive in una lussuosa villa sull’isola di Martha's Vineyard nel Massachusetts, dove - appassionato di archeologia - vanta una importante collezione di reperti molto rari e unici. Entrato in possesso di una lancia appartenente all’impero Ashanti, le cui origini si perdono nel tempo (secondo testimonianze bibliche, gli Ashanti sarebbero originari dell’Etiopia, da dove furono poi scacciati, oggi costituiscono la principale etnia del Ghana) e una volta dediti alla pratica del culto del sangue, dopo essere stato egli stesso colpito a morte dalla lancia, questi rinasce con il dono dell’immortalità: unica conditio è ovviamente la necessaria assunzione di sangue, che lo porterà inevitabilmente a commettere degli omicidi. Quando si innamorerà, ricambiato, della bella Ganja, egli deciderà di farle dono dell’immortalità colpendola a morte con la lancia. I due appaiono quindi destinati a una esistenza ideale sospesi nel tempo e al di sopra di ogni giudizio etico e morale, fino a quando Hess non viene redento e sceglie di lasciarsi morire.

Difficile da interpretare, il film è in primo luogo una radicale critica alla società americana contemporanea, che Lee definisce anch’essa soggetta al culto del sangue. Ma chiaramente non è secondario l’aspetto che il protagonista sia un ricco e cinico afro-americano che conduce una beata esistenza sostanzialmente isolato dal resto del mondo e che le origini della lancia si perdano lontano nel tempo e nel cuore del continente africano: la redenzione finale di Hess ha un contenuto più grande della rinuncia alla vita eterna dell’individuo e appare quasi una rappresentazione simbolica delle idee di Marcus Garvey: il richiamo a quella “purezza” del sangue africano e la fiera rivendicazione delle proprie origini e il riconoscimento nella causa comune degli afroamericani. Senza considerare il finale in cui al tramonto due donne si affacciano sulle rive del mare a guardare l’orizzonte, come volere ricercare nel futuro della specie una nuova possibilità da ricercare nel ruolo guida della donna come custode della millenaria storia del genere umano. Pure trattandosi di un remake, questa volta (a differenza che “Old Boy”) Lee è assolutamente convincente e nonostante il budget riesce a contornarsi di attori (a partire dagli attori protagonisti Stephen Tyrone Williams e Zaraah Abrahams) e collaboratori capaci (importante il contributo alla colonna sonora di Bruce Hornsby) realizzando un film bello e veramente stimolante sul piano intellettuale e speculativo.

Carico i commenti... con calma