I critici musicali, quelli veri, sono dei pescecani. Dall'alto della loro presunta competenza stanno sempre a dire ai poveri artisti che ciò che fanno è trito e ritrito e che la loro musica ha bisogno di un taglio col passato, di un completo rinnovamento. Poi però, se qualche anima pia prova a rimodernarsi, i critici gli sono subito alla gola, accusandola di "essersi venduta", di "aver tradito i fan" e stroncandola con recensioni negative.

Capita così che opere pregevoli vengano inutilmente demolite solo perchè rappresentano un punto di svolta nella carriera di una band. "Intravenus de Milo", album del '74 degli Spinal Tap, è una di queste. Celeberrimo è l'aneddoto secondo il quale un fruttivendolo di Soho, avendo visto le recensione negative del disco, disse: "Se questo album avrà successo, mi suiciderò!", a testimoniare quanto la critica possa avere una influenza negativa sulla gente comune.

Ma torniamo a noi. Gli Spinal tap, per fare un pò di storia, nascono come gruppo Flower Power negli anni '60, caratterizzati da una psichedelia appena accennata e da una grande energia che gli vale fin da subito il soprannome di "versione scema degli Who". Il loro singolo "Flower people", contenuto del quasi omonimo album del '68, diventa una buona hit, raggiungendo il 50esimo posto nella BillBoard chart. Con la fine degli anni '60 i Tap, come segugi affamati, fiutano aria di cambiamento e decidono di virare verso un Heavy Psych vagamente Hawkwindiano, consegnandoci ottimi album Space come "Brainhammer" e "Nerve Damage".

Purtroppo questi lavori, per quanto di qualità, non riescono a far emergere i Nostri dal marasma musicale di quegli anni. Allorchè la band decide di tagliare tutti i ponti con la psichedelia passata e di imbarcarsi sul carrozzone nascente dell'Heavy Metal.

Intravenus de Milo è la prima testimonianza del nuovo corso della band, e il cambiamento traspare anche dalla copertina, sagace e sarcastica. Niente effetti spaziali all'interno: chitarre in primissimo piano, riff granitici, testi ora fantasy alla Rainbow, ora materialistici. Solo nella lunga title track, omaggio a Miles Davis, un sax interviene a "spezzare" il sound monolitico del gruppo.

Anche in sede live la Band si rimorderna: pur non abbandonando i giochi di laser che accompagnavano le loro esibizioni sin dai primi concerti nei locali underground, i membri fanno ora sfoggio di un look glam, che in seguito verrà spudoratamente copiato da artisti del calibro di David Bowie, Kiss e Motley Crue.

Come si diceva prima, all'epoca il disco venne demolito dalla critica, esterrefatta per un così netto cambiamento col passato. Ma noi, gente del 2011, abbiamo una mentalità aperta e sappiamo apprezzare le cose belle anche a distanza di anni. Per questo vi invito a riscoprire questo capolavoro e tutti gli altri sfornati dai Tap, una band spesso ingiustamente dimenticata.

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