Ascoltate su Youtube l'ultimo brano di questo album, "Flow", solo questo varrebbe il disco, e poi leggete qui. Fatto? Ok.
Spock's Beard, questo strano nome (letteralmente la barba di Spock), è riferito a un episodio di Star Trek dove appunto questo tizio dagli orecchi a punta ha insolitamente la barba. Non è un nome che resta impresso, e forse questo ha giocato a loro sfavore quaggiù.
Gruppo neo-progressive americano nato negli anni ‘90 ben conosciuto nella loro Terra d'origine ma molto poco qui. Non so bene perché, forse strategie commerciali non efficaci, forse per il nomaccio, però vi garantisco che per l'appassionato italiano di prog le loro melodie farebbero faville.
L'anno scorso, dopo 35 anni di distacco dove ognuno è andato per la propria via, ritrovo un amico d'infanzia col quale giocavo a fare i supereroi marvel. Tra tutto il piacere che questo riavvicinamento mi ha lasciato, due sono le cose che più mi hanno soddisfatto: le nostre lunghe riflessioni filosofiche postgiovinezza postmeridiane e la conoscenza, attraverso di lui, degli Spock's Beard..
Buoni musicisti, compositori di melodie spesso romantiche, a momenti leggermente tendenti al pop, vissero il loro apice sotto la guida di Neal Morse voce solista tastiere chitarra acustica e principale compositore, fondatore assieme al fratello Alan main electic guitar, Nick D'Virgilio batterista, Dave Meros bassista, Ryo Okumoto tastierista. Poi nel 2002 Neal si convertì a un cristianesimo fanatico e dichiarando di aver ricevuto da Dio l'ordine di finire l'album "Snow", lasciare il gruppo e attendere istruzioni, se ne andò verso una carriera solista di album evangelizzanti.
Il loro sound con quella formazione è prevalentemente soft-prog-rock col valore aggiunto dell'uso dei celeberrimi Hammond e Mellotron che mandano i meno giovani in un brodo di giuggiole, vibrazioni che riecheggiano i mitici anni '70 e che mettono i brividi. A volte ma non in questo disco si cimentano nel contrappunto con ottimi risultati.
"The Kindness Of Strangers", composto nel '98, è a mio parere il loro migliore album, ma anche "Snow" e "Beware Of Darkness" sono notevoli. Buoni gli altri.
Non vi corrucciate se spesso i brani cominciano con incipit alquanto improbabili, poi le cose cambiano, ma - e forse la cosa è voluta - spesso i primi momenti fanno pensare a immagini disegnate e colorate hippy anni '60, un po' come quello che si vede nella sigla iniziale del film Motel Woodstock.
Preferisco non fare mai lunghe descrizioni dei brani: vanno sentiti. Un buon inizio d'album con la minisuite "The Good Don't Last", ma i pezzi forti prog arrivano solo alla fine. Gli intermedi "In the Mouth of Madness", "Cakewalk On Easy Street" , "June" e "Strange World" piacevoli ballate, tra cui June acustica e questo è buono perché non si dimentichi mai che "la Musica all'Inizio fu acustica".
I due ultimi brani sono veramente quanto ci si possa augurare di sentire dall'evoluzione del progressive rock, di quello romantico dico, non metal.
"Harm's way" ha una struttura complessa. Mi soffermo sull'ultima minisuite "Flow" perché è un ottimo brano e rappresenta un finale di album bello come pochi. Un motivo musicale struggente fa da legante e sfuma in una chiusura d'album - ripeto - come poche sentite.
E allora... gli Spock's Beard? Non si può non conoscerli, nonostante questo nome del kaiser.
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Altre recensioni
Di splinter
È forse con quest'album che gli Spock's Beard trovano la loro formula più adatta!
Davvero un grande album, degno dei migliori Spock's Beard.