Puntuali come una bolletta, una lamentela femminile, la morte, il tg di fede.

Ma anche come le cose belle della vita, che forse sono un po' meno puntuali di quelle brutte, ma che arrivano abbastanza regolari...: una cena... una ciulata... un concerto... giusto un disco degli Stadio.

Questi simpatici emiliani, come del resto tutti gli emiliani, il proprio lavoro lo prendono davvero sul serio. Quando non fan concerti scrivono, poi registrano, poi vanno in tour, e ancora scrivono e ancora ancora ancora... A volte può venire un mezzo coccolone (povero Gaetano): bene, si curano e ripartono. A volte perdono pezzi per strada: bene li sostituiscono e non ci perdono. Forse ci guadagnano persino.

È così perché la Repubblica, si sa, ma l'Emilia soprattutto, son fondate davvero sul lavoro.

E questi qui proprio non si stancano mai.

E il loro scopo è farlo onestamente, il loro lavoro, salvando il livello qualitativo del prodotto, sempre "esteticamente" altissimo, e "artisticamente" (in entrambi le virgolette sono d'obbligo) più che passabile.

Certo: dalla penna degli Stadio e dei loro collaboratori sono senz'altro usciti dei piccoli grandi capolavori "pop" (inteso in senso latissimo e quantomai improprio), culminati con la perfetta "E dimmi che non vuoi morire", epitaffio forse della loro miglior arte, ma senz'altro della povera Pravo e del defuntissimo e non compianto sanremo. Poi si sono alternati dischi orecchiabili, belli, ottimamente scritti, confezionati ed interpretati. Ripeto: un monumento al professionismo. E questo "Diluvio Universale" s'inserisce perfettamente in questa scia di prodotti dallo standard altissimo, divertenti senza che l'ascoltatore si debba vergognare, neanche un po' per quel che sta ascoltando.

Il disco scorre via piacevole, ben suonato e ottimamente cantato. La coppia assodata di autori Curreri e Grandi confezionano una serie di brani melodici senza essere retorici, sentiti senza esser superficiali. Cose che, come quelle del passato, avrebbero potuto anche solcare il perfido e inutile palco sanremese senza danno. Non ci sono andati: meno male, per noi e per loro.

Quando un gruppo, o un artista, ha uno zoccolo duro che gli consente di campare facendo ciò che è meglio fare (dischi e tour) senza dover cedere ai vari mercati di vacche, beh... è senz'altro una buona cosa.

Qui, piccola segnalazione, brillano la title track, scritta con il solito Vasco (anche qui non particolarmente ispirato ma decisamente salvabile), e soprattutto la bella "Cortili Lontani", dove Saverio Grandi non ci mette come sempre la sola penna, ma anche la voce, una voce piacevole, piuttosto scura, non educata come quella di Curreri ma più che ascoltabile. Le due voci si intrecciano bene in una storia di persone che s'incontrano in un quadro triste. Forse il piccolo capolavoro del disco.

Acquisto sicuro, download più che sicuro, se si crede che esista un pop di qualità, ben fatto e di "alto" intrattenimento.

Se invece si crede che ogni uscita debba essere un capolavoro e che l'unico criterio per giudicare la musica sia quello (soggettivo e opinabilissimo) dell' "utilità", beh...

Carico i commenti...  con calma