Il sempre più crescente 'rock appeal' moderno ci ha ormai abituato a sfornare fenomeni da classifica che già dagli esordi godono di corposi contratti con grandi major, sale di registrazione di alta qualità e legami con i migliori producer in circolazione, soprattutto negli Stati Uniti. Durante gli anni '90 il giovane Aaron Lewis, di origine ebree, cresce nel Massachusetts, dove vive una vita da tipico cittadino dell'America che suda e lavora, suonando in bar e lavorando in hotel.

Nel 1995 diventa fondatore e voce degli Staind, e dopo un album d'esordio che non lascerà il segno ne nelle charts americane ne nella carriera della band ("Tormented"), grazie ad un diverbio con un icona del Nu Metal (quello soft), Fred Durst, ha l'opportunità della vita. La band di Lewis infatti, dopo aver aperto un concerto dei Limp Bizkit nel 1997, litiga con lo stesso Durst che, poco dopo stupito dall'estro mostrato dai nostri durante l'esibizione, fa firmare loro con una label di tutto rispetto, la Flip Records. Nel 1999 pubblicano "Dysfunction", forse il loro primo 'vero' album.

Da subito si evince la sensibile vena malinconico-rabbiosa, e nei testi, e nelle distorte chitarre di pezzi come "Suffocate" e "Me". La realtà di una vita non proprio vissuta felicemente ("I lost myself inside your tainted smile again" in "Mudshovel" ) si scontra con autolesionismo, oserei dire 'Nichilismo' di pezzi come "Raw" ("Inside I'm so cold" ripete alla noia Lewis ). La costante atmosfera grigia trascina, quasi cullando chi ascolta, verso pezzi di tutto rispetto che non mancano di personalità nonostante pecchino di ardore.

Oltre a tutto ciò, la band si mostra anche di abile composizione melodica, il pezzo più radiofonico del disco è senz'altro "Home", bel pezzo che scivola facilmente accompagnato da un videoclip non propriamente ottimista. Una nota particolare  la merita la già citata "Mudshovel", che personalmente ritengo il pezzo trainante dell'album per melodia e coinvolgimento. Il messaggio di Dysfunction è uno ed univoco, delusione per tutto ciò che circonda il mondo esterno del complesso leader A. Lewis (che nel frattempo lascia gli Hotel e i bar di Atlanta preferendo platee sempre più grandi).

Trascinato da singoli come "Home" ed appunto "Mudshovel", "Dysfunction" vende oltre due milioni di copie lanciando la band al successo internazionale, successo che aumentò con il successivo lavoro della band, il più volte disco di platino "Break The Cycle", apice della loro carriera. La band però lascerà col passare degli anni i tortuosi sentieri degli esordi per dedicarsi al più comodo pop/rock caratterizzante l'ultimo "The Illusion Of Progress".

Non ci si può far niente, che lo si voglia o no, prima o poi il 'rock appeal' travolge tutti.

Voto al disco: 7,5

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