1977. Gli Yes devono aver già prodotto qualcosa ("The Yes Album", "Fragile", "Close to the Edge" e "Relayer", tanto per citare i lavori tendenzialmente considerati maggiori). Fatto sta che, in una scena musicale trainata - dominata - dall'Europa e in primis dalla Gran Bretagna, irrompe - si fa per dire - un gruppo americano che di nome non fa Kansas, e nemmeno vi assomiglia.
Sin dall'esordio ("Starcastle", 1976), netta spaccatura: ottimi, elevati, sofisticati, mai banali e godibilissimi (generalmente, pubblico), o meri esecutori di cover nemmeno tanto velate (generalmente, critica)? In medio stat veritas. Poiché certo, si può contestare una parziale carenza di originalità; ma essa, in tale contesto, andrebbe considerata come concreta matrice d'ispirazione, più che plagio. Poiché le analogie con gli album di Anderson & Co. esistono, e sono evidenti, come è evidente che in altri aspetti sono forse gli stessi Starcastle ad anticipare, per certi versi, l'originale ("Drama", "90125", per fare un esempio, appartengono agli '80). Niente paura, parola d'ordine: ascoltare e gustare senza preconcetti. Si apprezza di più ogni cosa.
Si parte, alla ricerca delle "fonti della luce", viaggio letteralmente spaziale (già, le analogie non sono esclusivamente di natura strumentale...) - marcate influenze space e symphonic rock -, accompagnati dalla tastiera di Herbert Shildt, sempre presente, molto attiva, mai monocorde, ricca di sfumature ed effetti variegati ("Silver Winds" è solo la punta dell'ice-berg), grazie a Moog e synth vari. Terry Luttrell, voce, ce la mette tutta per risultare quantomeno simile al personale corrispondente britannico (per inciso, impresa ardua). Tuttavia la sua individualità non sfigura affatto, anzi, pur mantenendosi su tonalità talvolta piuttosto statiche. Come in "Fountains", traccia iniziale, suite breve in salsa prettamente Yes e Boston, contenente un buon bridge strumentale e un ottimo assolo di chitarra, nella prima sezione. Scorre agevole, rilassante, preludio perfetto al cuore dell'album. S'ei piace, ei lice. Nell'eventualità, si prosegua.
Si diceva di "Silver Winds", delle tastiere. Ecco, l'esordio progressivo del brano in questione rimanda fortemente alla celeberrima "Baba O'Riley" degli Who , ripreso nel finale. In mezzo, linee prevalentemente di tastiera e chitarra evolvono su binari paralleli, accompagnate da un Luttrell ispirato, a dominare una più che discreta sezione ritmica. Allegra, spensierata, anche se lievemente malinconica, è invece "Dawning of the Day", dal gusto orientato un pelo più verso lidi largamente accessibili (chi vuol intendere...), nonostante intatta ed immutata rimanga l'essenza di fondo. Il tempo di qualche assaggio AOR in "True to the Light", ed ecco servita la spina dorsale del lavoro.
Atmosfere bucoliche e psichedeliche, introducono l'invito a cena - senza delitto - che le chitarre acustiche di Steve Hagler e Matt Stewart recapitano a Gary Starter (basso), cullando dolcemente, in un soffio di vento, la mente, le sue forme, e le sue suggestioni più recondite. Troppo simile a "And You And I" (Yes)? Sarà, ma ad ascolto ultimato, mi sovviene un discreto "chissene...". Finchè onirica armonia non ci separi. Anche perchè, "Diamond Song", estratto al tempo come singolo (di scarso successo commerciale), avrebbe di per sé attinenze con "Roundabout", specialmente la sezione d'organo. Ma se dovessimo ricercare, tra elementi distinti, corrispondenze strumentali, testuali e - perché no? - attitudinali, ogni singolo istante della nostra esistenza, moltiplicato per ogni singolo oggetto, fatto, avvenimento... sai che noia!
E invece no, non oggi. Oggi gli Starcastle sono gli Starcastle, stop. Luttrell non è Anderson, "Diamond Song" non è "Roundabout", ma risulta, "diversamente"e similmente, incisiva, strutturalmente - tempi, linee, vocals - elaborata e curata, emotiva, romantica e malinconica come il sottotitolo che porta appresso, "Deep Is The Light". Curtains fall. La luce sta nella profondità. O perlomeno, questo è ciò che ho inteso, e - per quanto mi riguarda - sta bene così.
E' inutile dilungarsi in ulteriori analisi specifiche. Il nocciolo della questione, in fondo ciò che questo pomeriggio volevo andasse scritto, è stato scritto. Un po' come quei film di Abbas Kiarostami, ove mancano i riferimenti d'immagine a personaggi e fatti fondamentali al racconto. Non sta al regista riempirli. Ognuno può farlo secondo la propria sensibilità, immaginazione, attitudine.
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