Dave Grohl, Elton John, Gerard Way e Ryan Adams hanno in comune qualcosa: si sono tutti sbilanciati nel tessere le lodi dei losangelini Starcrawler, giovane band che si aggiunge alle tante promesse di questo 2018 appena iniziato.

Ottenuto un contratto con la storica etichetta londinese Rough Trade, il quartetto licenza questo debutto eponimo, registrato in analogico dallo stesso Ryan Adams nei suoi Pax-Am Studios. Ne esce fuori un buon lavoro, che sfiora l’eccellenza in alcuni episodi, grazie soprattutto alla strepitosa frontwoman Arrow De Wilde, uno spaventoso concentrato di energia e attitudine rock (immaginate una sorta di ibrido tra Iggy Pop e una giovane Courtney Love).

“Starcrawler” è un album breve, compatto e molto classico; nessuna innovazione nelle dieci tracce che lo compongono, ma tantissimi riferimenti alla storia del rock dai settanta ai novanta, in uno sfizioso vortice di sfavillanti chitarre. Il singolone “I Love LA”, sorta di “Celebrity Skin” del nuovo millennio, si candida ad instant classic immediato, ma non è di certo la cosa migliore del disco. I quattro si divertono a cavalcare selvaggiamente la propria ispirazione come una giostra che girando attraversa gli ultimi trent’anni di rock; un paio di pezzi rimangono addirittura sotto i due minuti, trattasi dell’opener “Train” (molto vicina ai primissimi Foo Fighters) e della ficcante “Full Of Pride”, molto nirvaniana.

Per il resto si viaggia spediti tra riuscite fascinazioni blues (come in “Chicken Woman” - molto bella - e nella chiusura “What I Want”, che strapperebbe sicuramente un sorriso di approvazione a Jack White), taglienti alt rock figli del Josh Homme più invasato (“Different Angles”) ed un passo falso francamente evitabile come “Pussy Tower” (maldestro tentativo di avvicinarsi agli Aerosmith). Bene invece la scarna “Tears”, piccolo gioiellino lo-fi che piacerebbe tanto a Graham Coxon.

C’è sicuramente da lavorare sulla personalità a livello di songwriting, ma il primo passo degli Starcrawler è quello giusto; il talento nel riproporre influenze così classiche senza risultare maldestri scimmiottatori è notevole, ed i quattro si aggiungono di buon grado alle belle promesse da mantenere nell’immediato futuro.

Brano migliore: Tears

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