CASO 1

Non è un buon periodo per voi, le cose vanno male e volgono al peggio, vi guardate indietro e anche i momenti più neri della pece nel vostro passato vi sembrano perlomeno tendenti al grigio in confronte al magma scuro in cui sguazzate. Pantano avanti e dietro di voi.

CASO 2

Siete una persona qualsiasi, probalimente un ragazzo/adolescente sulla ventina, l'infanzia è finita e un po' di pensierini cupi fanno capolino, di pari passo con una responsabilità di cui forse si poteva fare tranquillamente a meno.

CASO 3

Siete un fan di Neil Young che ha perso l'amore e il lavoro, e la vostra sfortuna costringe la vostra voglia di vivere al ripiegamento.

Nel caso 1 e 3 questo è assolutamente il disco del momento.

Nel caso 2 vi sentirete tanto degli stronzi, perchè vi renderete conto di non avere un motivo reale per essere nel pietoso stato in cui siete, tanto che il sospetto che stiate confondendo la noia col malessere esistenziale vi deprime. E a quel punto tutto è perfetto.

Il suddetto è il primo lavoro da solista di Steve Von Till, voce chitarra e mente dei Neurosis, ed è forse il miglior ritratto della personalità e sensibilità di questo artista. Parte "Stained Glass" e ci siete voi dietro quel vetro sporco, che guardate il nevischio cadere sulla vostra malinconia.

Una voce bellissima e profonda, sofferta, accompagnata da una chitarra acustica e da un violino di tanto in tanto. Splendida e oscura "We All Fall" che ripete "ashes" nel finale. La cenere della morte, oscuri versi che cantati da quella voce non suonano banali, per una volta...

Non c'è un attimo per alzare la testa, mentre delay ossessivi delineano la placida ripetitività della tristezza che "come la neve non fa rumore". Mentre si perde la speranza di uno spunto per cambiare aria ci pensa "Warning of a Storm", otto minuti sulle stesse tre note che si ripetono all'infinito, nell'attesa di una tempesta che non arriverà mai. Poco cambia da qui in avanti, tra i sordi rintocchi di "Midheaven" e la sacralità di "Twice Born". La vostra sofferenza finirà (sempre che siate arrivati fino a questo punto) dopo gli interminabili dieci minuti di "Shadows In Stone", che sa di vento desertico, soffocante e instancabile, con qualche aumento di intensità difficilmente percepibile.

Il disco è tutto così, mai una batteria, saltuarie note di organo, e questa voce che v'accompagna disperata nei vostri angoli bui, su quei pensieri sui cui è scomodo viaggiare (come volano i corvi), che vi compatisce, ma non vi offre mai neanche la minima possibilità di uno spiraglio di luce.

Difficile quindi stabilirne il reale valore prettamente musicale, che per molti sarà prossimo allo zero, ma dedicategli pazienza (e i vostri peggiori momenti) e questo disco saprà ripagarvi. Garantito.

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