“Quando l’orizzonte è in alto, è interessante; quando è in basso, è interessante. Quando è in centro, è fottutamente noioso!”

Aria da neve in arrivo. La annuso riconoscendola subito mentre esco dal cinema; i rumori sono quasi ovattati ed ho voglia di prendermela calma e tornare a casa facendo il giro più largo. Rincaso e metto sul piatto un Miles d’annata: quello di “‘Round About Midnight” e mi godo il vinile mentre butto giù queste quattro righe sbilenche prima di addormentarmi sul divano.

Il fatto è che mai mi sarei aspettato da quel volpone di Spielberg un lavoro così rotondo, pulito e semplice che trasuda passione e non profuma di filigrana. Boh, sarà che sono diventato allergico ai cervellotici film alla “Tenet” oppure sarà che questo maledetto riscaldamento climatico mi sta sciogliendo. Sarà che era da mesi che non tornavo al cinema; sarà che per concludere un anno di merda come questo avevo semplicemente bisogno di un po’ di bellezza e l’ho trovata dove non la cercavo e mi ha spiazzato. Sarà forse per tutto questo insieme di cose che sì, me lo riguarderei! Il grande schermo esalta la fotografia di Kaminski; mentirei se dicessi che non ho goduto della qualità del sonoro, del montaggio elegante di Kahn e Broshar e della prova recitativa di un cast capeggiato da Paul Dano e Michelle Williams. Più che i dialoghi parlano le immagini.

Quando la qualità è così alta riesco a rivedere in maniera nitida le scene nella mia mente. Mi ci sono ritrovato in quella in cui muore la nonna del protagonista: l’abbraccio disperato della figlia che le stringe la mano, lo zoom elegante e leggero sulla vena che infine smette di pulsare, il silenzio ed il pianto che si rompe in un rantolo.
La semplicità di una danza leggera improvvisata davanti al fuoco scoppiettante con le scintille che volano nell’aria mentre la luce dei fari della macchina creano un momento di bellezza sublime.
La scena in cui il giovane protagonista è alle prese con il montaggio amatoriale del filmino delle vacanze in montagna mi fa drizzare i peli delle braccia per quanto è intensa. Gli occhi increduli e sgranati, le mani tremule che fanno danzare le immagini in avanti ed indietro, con il freddo ed inesorabile ticchettio della bobina.

“The Fabelmans” intreccia magistralmente passione e vita reale con una serie di scene potenti alternando ritmi più lenti e cadenzati ad altri più dinamici per una visione molto appagante. Lo definirei un film di formazione: Sammy cresce pieno di speranza ed energia imparando presto a convivere anche con la sofferenza della sua famiglia in progressiva crisi, con le difficoltà dell’integrazione, il bullismo a scuola, i primi amori e dei doveri dell’età adulta. In bilico tra razionalità e arte, tra scuola e cinema, si aggrappa infine alla sua passione per intraprendere la sua strada. A 51 anni da “The Duel”, mi sento di dire che Sammy (Steven) ha ancora qualcosa da dire.

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