Di Steven Wilson non si butta via nulla! Lo deve pensare lo stesso musicista, che pubblica a pochissima distanza dal precedente Hands. Cannot. Erase un nuovo EP. In realtà il nuovo andrebbe messo tra virgolette perché questo 4 e mezzo è una raccolta di remix e brani recuperati dalle sessioni di The Raven that Refused to Sing e il già citato Hand. Cannot. Erase, ma è anche presente una nuova versione di Don’t Hate Me, brano dei Porcupine Three tratto dall’album Stupud Dream.

My Book of Regrets sembra una naturale estensione dell’universo prog rivisitato in “Raven”, con un attacco pragmatico che lascia immediato spazio a una canzone non particolamente entusiasmante, con un forte odore da B-side. Come in altre occasioni arriva però in soccorso una interminabile impalcatura strumentale, che occupa largamente la parte centrale di un brano che sfiora i dieci minuti. Grandi virtuisismi, accelerazioni e rallentamenti contribuiscono a creare un vera esperienza musicale, garantita anche dai grandi musicisti di cui Wilson si contorna da anni. Si arriva alla fine con un’espressione molto, molto soddisfatta. Delicatissima la successiva Year of the Plague, con accompagnamento di chiatrra acustica e violini, traccia sognatrice e contemplativa, in piena sintonia con la solitudine malinconica narrata in Hand. Cannot. Erase. In Happiness III viene dato pieno spazio alla forma canzone, con la voce di Wilson in gran forma e accompagnata da un ritmo vivace. La canzone in sé però è tutt’altro che memorabile, incluso il refrain.

Sunday Rain Sets In è un altro strumentale che prosegue in maniera speculare Year of the Plague: in questo caso gli strumenti operano per evocare emozioni opposte, si respira un certo disagio e angoscia, con un’oscurità latente che si scatena sul finale in uno sfogo violento e inaspettato. Vermillioncore è un altro strumentale che ho trovato molto piacevole, ho apprezzato molto la varietà strutturale e la creatività, nonostante la durata di poco più di cinque minuti. Il pezzo apre con atmosfere misteriose per poi farsi travolgere da linee molto pesanti di chitarra elettrica, la formula viene poi ulteriormente rinnovata con un arrangiamento che rimanda quasi alla psichedelia. Don’t Hate Me è il già citato remake dell’omonimo brano di Stupid Dream, i fan rischeranno un colpo e si griderà sicuramente all’accusa di riciclaggio sfrenato. In fin dei conti ci interessa poco, quando il risultato è positivo comq in questo caso. Strutturalmente simile all’originale, questa nuova versione si avvale della cantante Ninet Tayeb per interpretare il refrain. Per qualche motivo l’ho trovata molto meno morbosa dell’originale, al solito impreziosita da esaustive sezioni strumentali che ne giustificano la lunghezza clamorosa (oltre nove minuti).

4 1/2 è il classico lavoro "OK" pensato esclusivamente per i fan terminali di Steven Wilson e collezionisti, nell’attesa del nuovo album vero e proprio. La qualità non manca, ma non c’è niente di particolarmente memorabile rispetto a quanto sentito precedentemente, si tratta di un more of the same decisamente godibile ma non in grado di stravolgere le opinioni - spesso antitetiche - che la gente si sarà ormai fatta su questo musicista.

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