Un paio di giorni fa, scorrendo la rassegna stampa apprendo che Stevie Ray Vaughan avrebbe compiuto settant’anni, se non fosse morto in un incidente in elicottero nel 1990. Io, come il resto del mondo al di fuori del Texas, la prima volta che ho letto il suo nome è stato nel 1983, scorrendo le note di copertina di “Let’s Dance” di Bowie; Lead Guitar: Stevie Ray Vaughan. La cosa finisce lì. In quegli anni e grazie a Bowie sono travolto dalla nuova onda inglese con venature dark, tanto che odio quell’ultima pubblicazione di David; come tutti i suoi fans mi sento tradito.

Anni dopo, con il consolidarsi della passione per il Blues, leggo come sono andate le cose e come spesso accade, se una vicenda mi incuriosisce, la storia vede tra i protagonisti i miei tre beniamini: i Glimmer Twins e il Duca Bianco. Anche se, in questo caso, il ruolo decisivo è quello svolto da Jackson Browne. Ed è una storia che merita di essere raccontata perché è una bella storia di solidarietà fra musicisti, a dispetto del cinismo che a volte sembra avvelenare lo star system. Inoltre, è una storia emblematica dei primi anni ’80: gli anni della new wave, del post punk, dei primi videoclip e della neonata MTv.

Tutto ha inizio nel 1982 quando Mick & Keith, durante una scorribanda notturna tra i locali di Dallas, videro una esibizione del chitarrista di Austin con la sua band, i “Double Trouble”. Colpito dal suo talento, Jagger segnalò Vaughan al produttore Jerry Wexler, che portò il trio al “Montreux Jazz Festival” il 18 luglio dello stesso anno. I due brani strumentali con i quali i tre sciamannati aprirono il concerto furono uno shock per il compassato pubblico del Jazz Festival non preparato ad un suono tanto veemente, soprattutto in un periodo nel quale i chitarristi sembravano aver smarrito la via del Blues elettrico in nome di un suono ripulito e prevalentemente acustico per il quale era stata allestita la sala delle esibizioni. Nel silenzio di quella che, nelle aspettative del pubblico, doveva essere un’esibizione acustica, i booh di disapprovazione dei presenti si fanno sentire soprattutto al partire di "Texas Flood", dato che è un lento, ma in risposta ottengono una ulteriore serie di interpretazioni incendiarie!

Perché Stevie era fatto così, andava dritto per la sua strada. E la sua strada partiva dal diabolico bivio di Robert Johnson e, passando per Albert King, andava dritta dritta fino a Jimi Hendrix, del resto non gli importava. Lo stesso Vaughan ricorderà in seguito: “Pensavano che fossimo troppo rumorosi, ma accidenti, avevo quattro coperte militari piegate sul mio amplificatore, e il volume era a 2. Sono abituato a suonare a 10!”. Non tutti però furono contrariati, un certo David Jones presente tra il pubblico, più noto come Bowie, ne rimase positivamente impressionato. E non solo lui: un critico musicale in commento all’esibizione scrisse: “E’ arrivato dal nulla, vestito come Zorro con una Fender Stratocaster del 1959. Non aveva un album, un contratto discografico, un nome. Dopo quel concerto tutti volevano sapere chi era”.

La sera seguente i Double Trouble si esibirono nuovamente nel lounge del Montreux Casino, con Jackson Browne che rimase così stregato dal power trio da unirsi a loro in una jam session, dopo la quale offrì loro l'uso gratuito del suo studio di registrazione personale nel centro di Los Angeles. Verso la fine di novembre la band accettò la sua offerta e registrò dieci canzoni in due giorni. Mentre erano in studio, Vaughan ricevette una telefonata da David Bowie che lo invitò a partecipare alla registrazione di “Let's Dance”.

Il prodotto di quei due giorni di registrazioni in California sono le dieci tracce di “Texas Flood”, pubblicato il 13 giugno del 1983 e che, sorprendentemente, raggiunse il 38° posto nella classifica Billboard 200 subito dopo la sua uscita. Ottenne il disco di platino in Canada e il doppio disco di platino negli Stati Uniti, vendendo oltre 2.000.000 di copie. Una vera anomalia se si pensa ai dominatori delle chart d’oltreoceano nel 1983: “Thriller” di M. Jackson, la colonna sonora di “Flashdance”, “Synchronicity” dei Police e il debutto dei Men At Work. Cosa ci fa un album che potrebbe essere stato registrato nel 1969 o, al massimo, nel 1973 tra i big dell’83? Come ha fatto ad arrivarci? Nel 1983 il blues era essenzialmente morto come forza commerciale. All'improvviso, nell’era del synth, ecco questo chitarrista che non fa nulla di particolarmente innovativo e diventa una star. Che diavolo sta succedendo?

La risposta è da cercare nel fenomeno che più caratterizzò gli ’80: la musica in TV ed il prodotto ideato dai discografici per promuovere la musica al di fuori delle radio oramai abbandonate dai teen agers, il videoclip. Anche Zorro ne registrò uno per promuovere il singolo “Love Struck Baby” nel quale, emblematicamente, cattura l’attenzione di una tizia vestita come Cindy Lauper, un tipetto alla Leroy Johnson e altra fauna tipica eighties riunita dentro un pub, all’incipit dell’assolo: la forza di Stevie e di tutti quelli che hanno tenuto vivo il sacro fuoco del Blues. Comunque non un video che resterà nella storia, solo che nell’82 MTv ha appena un anno di vita ed il materiale da mandare in onda è esiguo rispetto alla rotazione continua 24 ore su 24 del neonato canale musicale. Accade così che Zorro entra spesso e volentieri nelle case nordamericane fino a decretare il successo di un artista quasi trentenne.

Il bello è che lo fa con un prodotto che è anche la causa del suo isolamento in Texas fino a quel momento. Anche il fratello, pure lui chitarrista, grazie allo stile più sobrio e asciutto ha raccolto maggiori consensi con il suo gruppo Rock Blues, i Fabulous Thunderbirds; anche se per loro il vero successo arriverà nel 1986 con l'album “Tuff Enuff”. Stevie, invece, ha una reputazione solo in Texas, dove si è fatto conoscere suonando un Blues canonico che si ispira apertamente a bluesmen come Albert King, Buddy Guy e Albert Collins e da musicisti della prima ora del Rock come Jimi Hendrix. Nulla di particolarmente nuovo, solo che lo fa magistralmente. Zorro sì, ma senza maschera: SRV rende omaggio ai suoi numerosi idoli musicali, sia attraverso l'esecuzione del loro materiale, sia inserendo nel materiale inedito note e riff vagamente familiari. Stevie non è innovativo, suona semplicemente il Blues ed il Rock Blues il meglio che può fino a creare il suo stile unico.

Il set di canzoni che compone l’album di debutto è il risultato di anni passati insieme ai due componenti dei “Double Trouble”, Tommy Shannon al basso e Chris Layton alla batteria, nei locali del circuito Texano. Non hanno problemi ad incidere in due soli giorni, conoscono quel materiale come le loro tasche e riescono a tirare fuori un prodotto pieno di energia e con un gran sound. Anzi, le condizioni quantomeno precarie nelle quali si svolge il tutto (“Ci siamo sistemati al centro del pavimento, come se stessimo suonando in un magazzino. Suonavamo la musica come la band suonava ogni sera e la registravamo … abbiamo registrato su un vecchio nastro che Jackson Browne aveva usato per fare la pre-produzione del suo disco “Lawyers in Love” ricorda Layton) donano al lavoro una freschezza che lo fa emergere rispetto ai successivi lavori in studio.

Certo, il problema è che Vaughan non ha la più bella voce bianca del Blues e come autore non brilla per inventiva. Questo forse è il motivo per cui le mie tracce preferite sono le cover, come “Tell Me” o la title track, oppure le strumentali “Rude Mood”, “Testify” o la sognante “Lenny” che mostrano che musicista di talento fosse. Comunque, se sei un amante del blues o del boogie o, ancora meglio, un appassionato di guitar hero, troverai come me grandioso il modo in cui SRV suona queste canzoni, e questo è tutto ciò che conta. E conterà per i sette anni che verranno, sia nei successivi album in studio sia e soprattutto nei live dove, in molti casi, si troverà a duettare con gli idoli della sua formazione coronando così il sogno di una vita, che no, non era diventare una rockstar.

La storia finisce come è iniziata, con un gesto di solidarietà ed amicizia da parte di un altro musicista, Eric Clapton. Dopo sette anni nessuno più lo chiama Zorro, si è costruito una solida carriera anche se ha rischiato di bruciarla con il solito mix di alcool e droga ma, da poco, si è disintossicato. Il 27 agosto 1990 partecipa ad una jam session di superstar del Blues a East Troy, una località di montagna del Wisconsin insieme a Buddy Guy, Eric Clapton, Robert Cray e al fratello Jimmie. Dopo il concerto quattro elicotteri attendono i musicisti per portarli a Chicago. Uno degli elicotteri è riservato per Stevie, Jimmie e sua moglie ma è stato già occupato da alcuni membri della crew di Clapton. Stevie Ray è stanco, provato dalle cure e dall’astinenza vuole tornare a Chicago. Eric Clapton gli lascia l’ultimo posto libero. L’elicottero decolla intorno a mezzanotte e cinquanta minuti in una notte nebbiosa e si schianta poco dopo su una pista da sci, uccidendo tutti i passeggeri a bordo. Fine della storia.

Side A

Love Struck Baby - Stevie Ray Vaughan

Pride and Joy - Stevie Ray Vaughan

Texas Flood - Larry Davis, Joseph Wade Scott

Tell Me - Howlin' Wolf

Testify - Ronald Isley, O'Kelly Isley Jr., Rudolph Isley

Side B

Rude Mood - Stevie Ray Vaughan

Mary Had a Little Lamb - Buddy Guy

Dirty Pool - Doyle Bramhall, Vaughan

I'm Cryin - Stevie Ray Vaughan

Lenny - Stevie Ray Vaughan

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