Alla vigilia del chiacchieratissimo debutto dei Velvet Revolver (inutile che vi dica chi siano, giusto?), i fratelli DeLeo, stanchi delle stravaganze del loro cantante, si chiamano fuori dal progetto Stone Temple Pilots, salutando il pubblico che li ha seguiti più o meno fedelmente dai tempi di Core (1992), con la più classica delle antologie.
Thank You è infatti la raccolta pressoché completa di tutti i singoli della band di San Diego (mancando infatti all'appello solo un paio di canzoni dell'ultimo periodo). Ripercorrendo la carriera degli Stone Temple Pilots, non si può non ammettere che furono un fenomeno ben più consistente di una delle tante bands che sfruttarono l'ondata grunge capitanata da Nirvana e Pearl Jam. Vincitori di 2 grammy awards (più varie nominees nel corso dello scorso decennio), campioni di vendite coi primi due album, pionieri di nuove sperimentazioni grunge-pop Tiny Music... e tra i primi a sfruttare le virtù del duo Brendan O'Brien/Nick Didia al mixing/producing (per fare qualche nome, solo in seguito arruolati dai vari Pearl Jam, Rage Against The Machine, Korn, Stereophonics...), gli Stone Temple Pilots hanno sempre convissuto con le disavventure del loro singer Scott Weiland, costantemente nei guai per abuso di sostanze stupefacenti, che lo hanno fatto entrare ed uscire da Rehab Houses e carceri di mezza America.
Tuttavia, con la fine dei vari Soundgarden, Alice In Chains, Smashing Pumpkins, Screaming Trees e qualche maligno aggiungerebbe anche Pearl Jam, erano rimasti solo loro a fare quel certo tipo di musica dalla critica comunemente riconosciuto come grunge. Poi sono arrivati gli Audioslave a riproporre la moda tanto in voga nei 70's, dei supergruppi, ed ecco che musicisti ormai in stato di decomposizione quali gli ex Guns N Roses, vedono in Scott Weiland l'ideale sostituto della vecchia icona rock Axl Rose (il cui disco, notizia dell'ultim'ora, si intitolerà Chinese Democracy ed uscirà il giorno del Santo Natale...), e lo invitano ad unirsi a loro in una potenziale nuova macchina da soldi (e chissà, non si sa mai, forse di anche buona musica).
Gli Stone Temple Pilots, deboli dell'insuccesso del loro ultimo album, alzano bandiera bianca e mettono in mostra, per la prima volta, i loro più famosi gioielli. Come ogni raccolta che si rispetti però, mancano davvero diversi episodi fondamentali per non definire questa greatest hits poco più che una semplice introduzione al gruppo.
Tuttavia, per gli appassionati, è in commercio una versione di Thank You con allegato un DVD pieno zeppo di performances video di quasi 3 ore, con rapporto qualità/prezzo davvero imbattibile. Tornando alla musica, la raccolta si apre con il memorabile riff di Vasoline, per proseguire poi con la violenza dark di Down e i primi classici della band, tra cui spiccano ancora una volta Plush (presente anche in versione acustica), Creep ed Interstate Love Song. Non mancano gli episodi più melodici del loro repertorio, ed ecco infatti scorrere la beatlesiana Lady Picture Show e Sour Girl, forse la vera ultima hit del gruppo. C'è anche un onesto inedito, All In The Suit That You Wear, outtake dell'epoca N°4 di cui riflette chiaramente il sound, ma che sfigura quando al suo terminare, parte il riff tritaossa di una delle canzoni che hanno davvero fatto la storia di questo amato/odiato grunge: Sex Type Thing.
Se siete fan di questo gruppo o se non li conoscete, forse vale la pena acquistare questa raccolta, perché tra le tante, troppe in commercio in questo periodo, sembra quella meno banale e sinceramente più onesta.
Elenco tracce e testi
04 Big Empty (04:55)
drivin' faster in my car
falling farther from just what we are
smoke a cigarette and lie some more
these conversations kill
falling faster in my car
time to take her home
her dizzy head is conscience laden
time to take a ride
it leaves today no conversation
time to take her home
her dizzy head is conscience laden
time to wait too long
to wait too long
to wait too long
to much walkin', shoes worn thin
too much trippin' and my soul's worn thin
time to catch a ride
it leaves today, her name is what it means
to much walkin', shoe's worn thin
Chorus
Conversations kill
Conversations kill
Conversations kill
Chorus
Conversations kill
Conversations kill
Conversations kill
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Altre recensioni
Di marcmat
Nonostante non abbiano mai intrattenuto ottimi rapporti con la critica, la canzoni più che le cifre di vendita sono i testimoni di quello che si può considerare... uno dei più importanti complessi americani degli anni '90.
Il miglior pezzo sia forse 'Sour Girl': chiedo scusa tenendo conto della premessa fatta prima, ma si tratta davvero di una questione affettiva...
Di erro
Solo i grandi grandi escono di scena con stile, e questa gente di stile ne ha da vendere.
In questo simpatico dischetto contornato di girasoli tutti i riflettori sono puntati sul lato artistico della band, senza fronzoli storici o squarci di vicende private.