"No Land Called Home" è il secondo album uscito nel 2010 di un interessante duo di origine greca, che prende il nome di Subheim.

Kostas K. è la principale mente di questo progetto e si tratta di un visual artist, di un designer grafico oltre che di un ottimo musicista elettroacustico. Ad accompagnare Kostas c'è la cantante Katja, dotata di una voce potente ed evocativa come poche altre.

Il disco in questione è un intrigante miscuglio di ambient, elettronica, trip-hop (solo per alcuni spunti stilistici), musica da camera e musica etnica (nelle sue derivazioni più orientaleggianti). Non si tratta di un disco immediato, richiede diversi ascolti per essere compreso a pieno nelle sue varie sfumature. Inizialmente l'ascoltatore potrebbe rimanere un po' spiazzato dalla molteplicità di sonorità e dalla varietà che sussiste tra un brano e l'altro, tant'è che potrebbe sembrare che non ci sia un filo conduttore che lega le varie tracce. E invece un filo conduttore c'è, eccome. Con quest'opera i Subheim vogliono esprimere la sensazione che si prova nel vivere in un mondo aperto, senza confini, in cui l'individuo non si sente legato a nessuna patria e a nessuna tradizione. Sensazione ambivalente, bella e allo stesso tempo desolante: in questo mondo ci si sente spaesati, si è costretti ad errare in solitudine per delle strade vuote e desolate, di ogni parte del mondo, spinti dal fatto di non sentirsi a casa in nessun luogo.

Il disco si divide tra pezzi interamente strumentali e altri cantati, e spazia da atmosfere dal sapore nordico (lo si può notare dalle aperture sinfoniche di tracce come "Dusk" , "Streets", "December", "The Cold Heatred Sea") fino a giungere a melodie e ritmi dal sapore più orientale, "persiano" ("Conspiracies", "Dunes"). Particolare menzione va fatta a due tracce, ossia "The Veil" e "The Ravage Below". La prima richiama lo stile degli Antimatter dell'album "Planetary Confinement": voce maschile molto simile a quella di Mick Moss, accompagnata da un piano elettrico, dagli archi e da malinconici e freddi arpeggi di chitarra acustica. Nella seconda invece, i vocalizzi eterei di Katja richiamano moltissimo quell'aura mistica dei Dead Can Dance.

Non un capolavoro, ma un ottimo disco. I Subheim dimostrano gran talento e una grande duttilità nell'esplorare diversi tipi di sonorità sopracitati, accompagnati da un ottima produzione alle spalle: non vorrei esagerare ma difficilmente ho notato in altri dischi una qualità sonora di questo livello.

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