Correva l'anno 2003: i gran caproni teste di piombo Greg Anderson & Stephen O'Malley decidono di rimodellare il sound pachidermico della creatura Sunn O))), già divenuta un'istituzione in ambito estremo, ma destinata, salvo provvidenziali aggiustamenti, ad arenarsi in un pantano manieristico.
Esce così "White1", che costituisce un parziale allontanamento dalla dimensione più fottutamente metal-doom ed insieme un tentativo di rielaborare l'elemento drone-ambient in una chiave mistico-esoterica. Confezionato in modo un po' frettoloso, "White1" non convince appieno, ma in qualche modo sa farsi piacere.
Le danze si aprono con quello che io reputo il top dell'espressione "artistica" di Anderson e O'Malley: "My Wall" è un incredibile viaggio di 25 minuti che si apre con brusii di chitarra e arpeggi funerei. Ma a stupire è la presenza delle oscure narrazioni di Julian Cope: come un'entità demoniaca, lo spirito Sunn O))) sembra aver posseduto il novello Syd Barrett, tramutandolo in un sacerdote invasato in preda ad estatiche visioni. Per tutta la prima metà del pezzo arpeggi inquietanti, vischiosi droni e strascichi di chitarra accompagnano in un crescendo da brividi l'invocazione di Cope, lanciato autisticamente nella lettura dell'ode "My Wall", scritta di proprio pugno.
Parole come lette da un'altra dimensione, una voce che viene da dietro la nebbia, da sotto il fango, dall'Inferno stesso. Straniante e misterico al contempo è l'effetto di questo nuovo impeto visionario, a dimostrazione della versatilità del sound dei Sunn O))), che sa prestare il fianco alle sonorità e alle soluzioni più disparate.
Il pezzo prosegue all'insegna di tetre bordate di chitarra ripetute senza pietà per il nostro spirito di sopportazione. Ma sono chitarre lontane, riverberate, dall''incedere ipnotico ed ammaliante, dense pennellate di grigio in uno sfondo nero, rigoli di piombo fuso che inondano boschi di alberacci rinsecchiti: tanto avvolgenti per le nostre orecchie (siamo lontani dal caos frastornante di album come "00 Void" e "Flight of the Behemoth") quanto letali per i nostri neuroni.
Non si proseguirà purtroppo sugli stessi livelli: della successiva "The Gates of Ballard" salvo solamente il malatissimo incipit, l'allucinato canto tradizionale norvegese con cui il brano si apre. Per il resto, trovo assai deludente il protrarsi per più di un quarto d'ora di un fiacco riff stoner sull'andamento traballante di una inconcludente drum-machine, programmata, devo dire, veramente a cazzo di cane (imbarazzante davvero il timido ti-ti-ti-ti-ti della doppia cassa che incalza il brano sortendo un effetto più ridicolo che altro).
Da vecchie volpi come Anderson e O'Malley c'è naturalmente da aspettarsi che la cosa sia deliziosamente voluta, e, nonostante il risultato non mi faccia impazzire, c'è da riconoscere ai due un inguaribile spirito dissacratorio (che si sia voluto mettere alla berlina un certo tipo di metal per fighetti che abusa di doppie-casse triggerate?, o tutti quei batteristi impreparati che sopravvivono in virtù di ritocchi compiuti in studio?).
Ma soprattutto c'è da applaudire un talento davvero unico nel saper ogni volta adottare le soluzioni più urticanti e di cattivo gusto, riuscendo così, nel bene o nel male, nell'intento di mantenere sempre alto il tasso di frustrazione nell'ascolto (che poi è quello che un fan dei Sunn O))) ricerca!) e rimanere fedelmente sul filo della sonora presa per il culo (ma il fan dei Sunn O))) ama farsi prendere per il culo!).
Piuttosto anonimo, infine, il pezzo di chiusura "A Shaving of the Horn that Speared You", un esperimento "free" di 15 minuti in cui fraseggi sconclusionati, giochi di volumi, arpeggi scordati e sospironi nel sottofondo si incrociano senza regalare grandi sussulti. Anderson e O'Malley sembrano accantonare per una volta la loro indole doom, preferendo allestire una zoppicante e desolante danza di messaggi subliminali, diretti evidentemente più alla sfera dell'inconscio che non alle orecchie dell'ascoltatore (il cervello, beninteso, è stato automaticamente disattivato nel momento in cui si è deciso di premere il tasto play!).
Anche in questo caso è palese la volontà di distaccarsi dai soliti cliché stra-abusati: il risultato è un approdo non del tutto convincente ai lidi di un'avanguardia da quattro soldi, ma non priva, tutto sommato, di un certo fascino e di un certo potere suggestionante. Fascino ed inquietudine che sono dati dalla malsana insulsità di certe scelte e dall'apparente assenza di un disegno che regoli l'insieme.
Cosa dire tirando le somme? "White1" è senz'altro uno degli episodi più irrazionali che i Sunn O))) ci abbiano regalato. I suoni, meno possenti e vigorosi che in passato, vanno purtroppo a sminuire l'impatto di una musica che si basa su l'annichilimento generato dal muro di chitarre (che poi è la ragion d'essere della band).
Abbondantemente superato dal suo successore "White2" (che si muove sulle medesime coordinate, ma con esiti decisamente migliori), questo lavoro rimane il capitolo più misterioso ed inafferrabile della saga Sunn O))): un tassello di tutto rispetto nella discografia di una band-non band che campa più sugli eccessi e sulle provocazioni, che su reali e vantati contenuti artistici. Chi li ama, li segua...
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