L'album inizia ("School") con un lungo preambolo di armonica, idea mutuata dal grande Morricone di "C'era una volta il West", seguita poi dalla voce vibrante e acuta di Roger Hodgson, assoluto marchio di fabbrica fra i tanti di questo gruppo, la quale comincia a narrare una storia di repressione scolastica e non. Il pezzo si sviluppa in maniera assai progressive, con cambi di tempo e di atmosfera e con un bell'assolo al pianoforte martellante di Rick Davies, divenendo sempre più concitato fino all'apoteosi finale dopo la quale "casca" letteralmente dentro al brano successivo ("Bloody Well Right"), aperto da un nuovo assolo di piano (elettrico, stavolta).

Parte poi un riffone hard stemperato dalla voce baritonale, beffarda e bluesy del tastierista Davies, accompagnata nel ritornello (efficacissimo, ironico, creativo) dai cori in risposta di Hodgson e dello scanzonato ma bravissimo fiatista John Anthony Helliwell. Il brano va in conclusione accentuando la sua atmosfera pop jazz con un assolo di sax di contrappunto alle frasi finali di Davies. Ancora Helliwell lo sta suonando che parte il caratteristico piano Wurlitzer suonato ad ottavi (da Hodgson) per la fantastica strofa di "Hide In Your Shell"… uno di quei brani di cui si può dire che non riesca mantenere le promesse, nel senso che il ritornello (piuttosto "telefonato" melodicamente) non vale la fantastica strofa.

Dopo una pausa (la prima dell'album, siamo in stile "Dark Side of the Moon" per questo, insomma) arrivano pianoforte e poi voce di Davies per la superba "Asylum", ballata progressive con l'orchestra a sottolineare i suoi passaggi più drammatici. Al quinto pezzo arriva il super pop squillante di "Dreamer": Hodgson pesta sul piano elettrico Wurlitzer come un fabbro, intsnacabile; il lavoro della ritmica (Bob Bemberg batterista e Dougie Thomson bassista) è raffinato e trascinante, gli inserti d'organo Hammond perfetti, la voce di Hodgson veramente al piano di sopra, altissima ed entusiasmante e insomma questo è un vero gioiellino di pop inglese, ammaliante e brillantissimo.

L'atmosfera si fa assai più malinconica col pezzo che segue ("Rudy", di Davies) assai composito e "progressivo", il migliore dell'album da questo punto di vista. E' la storia di un poveraccio resa in maniera molto cinematografica, con copioso uso di orchestra ed effetti di ambiente. "If Everyone Was Listening" che la segue è l'unico riempitivo, a mio vedere: Hodgson qui è solo mieloso e tedioso al canto e la melodia non è memorabile come invece tutte le altre. L'opera si riprende e poi si conclude con il brano che dà ad essa il titolo, una cosa di Davies molto solenne, sul fatto che siamo tutti noi, nessuno escluso, a mandare a rotoli questo mondo.

I Supertramp hanno poi perfezionato, via via negli album successivi a questo, una tipologia peculiare di canzone pop fatta di pianoforte ribattuto e di coretti in falsetto che ha avuto il suo acme nel 1979 colle vendite mostruose del loro sesto album "Breakfast in America": in quel momento sembrò avessero in mano il mondo, se è vero che perfino Lucio Battisti stette a copiare di brutto le loro idee di arrangiamento nelle sue cose di quel periodo. Invece niente, il mondo nelle loro mani ma due anni dopo non lì voleva più nessuno e loro, dispiaciuti ma ben miliardari, hanno accettato con classe il cambio di vento, spegnendosi quietamente senza troppi sussulti.

Il loro successo fu ascritto in ambito pop ma la genesi del gruppo è però progressive: non so come ma trovarono da giovanissimi una specie di pigmalione olandese che stravedeva per le loro suites ingenue ed acerbe e sostenne tutte le spese di inizio carriera, la quale produsse due dischi passati giustamente inosservati. Al terzo album (questo qui, anno 1974) i tasselli del puzzle Supertramp andarono invece magicamente tutti a posto... è senz'altro il loro lavoro migliore perché stavano virando verso il pop, ma ancora trascinandosi dietro deliziose scorie progressive che li rendevano assai meno ruffiani e patinati che nel "big seller" di cinque anni dopo (peraltro ottimo, anzi semplicemente fantastico e irripetibile).

Nel quintetto i ruoli sono ben definiti: doppio compositore/cantante nelle persone di Hodgson chitarrista ma con delega a pestare sul pianoforte elettrico e Davies tastierista (e armonicista in "School"). Hodgson è una specie di hippy, idealista e mistico, essenzialmente chitarrista ma capace di caratterizzare col suo stile martellante al piano i maggiori successi del gruppo, per non parlare nuovamente della sua voce acutissima e riconoscibile fra mille. Rick Davies ha invece una vocalità più "normale", il jazz ed il rhythm&blues scorrono sotto le sue dita e corde vocali e la sua musica è più terrena e concreta. Essenziale al gruppo anche il fiatista Helliwell, oltre che per i suoi interventi gustosi anche per il tocco generale di humour essendo un vero buontempone di talento. Bemberg e Thompson come già accennato sono una sezione ritmica intelligente e creativa, suonano poco e bene.

I disimpegnati rischiano di trovarci troppo poco pop in questo lavoro, i "progressivi" forse troppo. Io trovo che sia un gioiello luminosissimo.

Carico i commenti... con calma