The Burning World è il sesto disco degli Swans, la band newyorkese fondata da Michael Gira. Dopo aver abituato il pubblico a live show devastanti, proponendo una musica post-no wave, dove i fragori metallici vengono ritmati da claustrofobiche marcie industriali, straziate dalle urla di Gira, gli Swans (in questo disco, oltre a Jarboe e Norman Westberg, altri sedici musicisti sono accreditati nel disco) decidono di cambiare radicalmente rotta. Quando il pubblico, dopo Children Of God, iniziò ad accettare e compredere la natura della musica dei nostri (si tratta infatti del primo e unico disco su major, la Uni), Gira e soci decisero di seguire senza alcun compromesso la strada dettata dall'ispirazione e dalle proprie istanze creative, deludendo gran parte dei loro fans. I brani di questo disco si allontanano decisamente dalle tetre composizioni degli album precedenti, dirigendosi verso un formato canzone più tradizionale, molto vicino alle murder ballads nickcaveiane o a sonorità neofolk (in un certo senso gli Swans sono un gruppo molto poco americano).

Il disco inizia molto dolcemente con le chitarre e gli archi del brano "The River That Runs with love Won't Run Dry". Queste vengono subito incalzate da un incedere marziale della batteria che raggiunge velocemente un suo climax, per lasciare in primo piano gli archi. Quando entra la voce profonda e calma di Gira l'ascoltatore capisce che c'è decisamente qualcosa che non va: non ci sono urla, non ci sono chitarre metalliche che scandiscono le battute di un cuore impazzito. C'è solamente una splendida canzone cantata da una splendida voce. 

Procedendo con l'ascolto non troveremo niente simile al passato. "Let  It Come Down" e "Mona Lisa, Mother Earth" sono infatti altre due ballate folk, di un retrogusto amaro. Se nei dischi precedenti i sentimenti negativi venivano manifestati esplicitamente, in questo caso il mal de vivre è espresso implicitamente in queste semplici canzoni, arraggiante magistralmente. I capolavori di questo disco, come "(She's a) Universal Emptyness" o "Jane Mary, Cry One Tear", anticipazioni al futuro Angel of Light, fungono da controaltare alla durezza delle prime composizioni. C'è molta dolcezza (morbosa), i suoni sono squillanti e precisi, l'atmosfera è briosa come una splendida mattinata invernale. Il cantante sembra essere giunto ad uno stato di quiete ed una sorta di serenità, che sa perdonare e perdonarsi i crimini commessi.

Un legame con l'album antecedente può essere riconosciuto nelle chitarre acustiche, che mantengono il loro carattere folk maledetto, ma scompaiono quelle elettriche che costruivano i muri di suono a cui ci avevano abituato. Sconvolgente è l'uso di archi e percussioni "etniche": sono loro i colpevoli che rendono questo disco così poco "Swans".

La voce di Jarboe è protagonista dell'etereo brano "Can't Find My Way Home", in cui un arpeggio di chitarra è sorretto dagli archi e ritmato da tabla indiane, e in "I remember who you are". Si nota una interpretazione vocale più sicura dell'oscura cantantessa, sopratutto nel secondo brano. Negli altri brani però a curare i cori non è sola, ma accompagnata da altre due voci.

Sebbene apprezato in seguito, questo disco non vendette secondo le aspettative ed il contratto con la Uni venne sciolto. Molti considerano (tra cui lo stesso Gira) questo disco il punto debole della discografia. L'album infatti non verrà mai più ristampato. La produzione di Bill Laswell sicuramente ha inciso nella pulizia dei suoni del disco, e possiamo scommettere che è stata volontà della major stessa quella di ottenere un disco potenzialmente accessibile a tutti. Ciò nonostante raramente si troveranno in seguito brani così ispirati, così gentili e melodici, ma che riescono a mantenere ancora una forte carica dark. Considerando oggi la carriera di Gira, quest'album è un passo importante nell'evoluzione della sua carriera: da elemento bordeline su un palco si strasforma in un fine songwriter, e ne potremmo raccogliere le gemme negli album a seguire, sopratutto quelli targati Angel of Light.

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