Pochissimi conoscono i T2, a quanto pare. Probabilmente, se si chiedesse a Keith Cross e Peter Dunton di parlarne, neanche loro se ne ricorderebbero. Gli enigmi con finiscono qui: per cosa sta il nome T2, se si trattava di un trio? Qual è il significato della copertina di "It'll All Work Out In Boomland"? Cosa vuol dire "It'll All Work Out In Boomland"? E soprattutto, dov'è Boomland?

Tutte domande che lasciamo ai compilatori. Noi siamo meno formali e facciamo partire il disco senza fottercene molto. Subito ci rendiamo conto che non si tratta di una band qualunque: "In Circles" parte immediatamente in quinta con un ritmo impetuoso e una chitarra pesantissima, fra accelerate, frenate, cadenze supersoniche e assoli di rara potenza, in mezzo ai quali spunta anche la voce di Dunton a seguire il corso della musica, fino a vocalizzi leggiadrissimi. Troppo poco barocco per essere prog, troppo vario per essere solo psych.

Dopo l'energia arriva il relax, e "J.L.T." ci accompagna "sott'acqua" con una progressione armonica delicata, a tratti surreale, che sfocia in una melodia finale meravigliosa, dal sapore al contempo trionfale e malinconico. Altro cambio di fronte e "No More White Horses" si apre con una progressione metal durissima, per poi dilungarsi senza troppe esplosioni, ma sempre con grande energia (fa capolino addirittura un piano!).

Fin qua tutto è già notevole, e si può già pensare al capolavoro. Ma il meglio arriva solo sul lato B con "Morning", suite di ben 21 minuti, aperta da un riff dimesso di chitarra, che, dopo qualche strofa sussurrata, si apre in progressioni e assoli imprevedibili, ora lambendo vette emotive, ora raggiungendo apici di potenza straordinari, con cambi di tempo da prog suite (c'è addirittura un tempo di valzer!) e finale roboante.

Ah, dimenticavo di dire che a metà della suite vi è addirittura uno sfarfallio atonale space, alla "Interstellar Overdrive". Se non avevate già urlato al capolavoro, ora non avete scuse.

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