Cuore di zio... di fronte al consueto "no, guarda, è troppo, la devi vedere, no zio, non riesci a fermarti" so già che mi aspetteranno ore e ore di visione di puntate di serie TV con commenti, riassunti tre-stagioni-in-dieci-secondi e dibattiti su fermo-immagine, in particolar modo in concomitanza con le (mie) ferie. Devo ammetterlo: a volte non sono malaccio, confesso pure che per "Dark" ho dovuto di nascosto estrarre il fazzoletto tentando contemporaneamente di inghiottire un difficile nodo in gola.
E a proposito di tedeschi: non so come rendere l'idea di quanto mi sia sentito gasato quando nel sesto episodio di "Stranger Things" ha fatto capolino il sommesso e ostinato incedere di "Exit", brano che dà il titolo all'album dei Tangerine Dream del 1981, il secondo in studio della formazione Franke - Froese - Schmoelling.
Proprio osservando quanto stesse a meraviglia quel suono su quelle immagini, e quanto bene si integrasse in una colonna sonora volutamente vintage, ma allo stesso tempo attuale e accattivante, ho capito quanto "Exit" mi piaccia e mi soddisfi. Cosa che non davo per scontato: a un primo ascolto, il lavoro mi era risultato anomalo, un tantino asciutto, privo di quei lunghi viaggi contenuti negli album precedenti (e anche successivi), tanto lontato dai drammi cosmici alla "Zeit", dai sequencer ipnotici di "Rubycon", ma anche dal prezioso equilibrio fra avvenirismo, progressive e world music di "Hyperborea".
In realtà, è proprio questa lontananza che rende ancora più evidente la grande efficacia di "Exit" come straordinario punto di partenza per una serie di cammini nella musica elettronica degli anni '80. "Choronzon", ad esempio, è già lì pronto per accompagnare un telefilm poliziesco fra bolidi velocissimi, grattacieli e spiagge - il fraseggio per sequencer capace di far girare la testa, ritmo serrato a base di percussioni programmate, accordi a piene mani e melodie da fischiettare. Mi vedo già con gli occhiali a specchio e la camicia hawaiana (e un mullet, magari, a poter ancora contare su una chioma). E quanto è coinvolgente la dance robotica di "Network 23", pronta a dare l'impressione del vento fra i capelli durante una passeggiata in cabriolet lungo un viale di Los Angeles, tanto da farci dimenticare l'origine berlinese del gruppo.
Ci si può anche ritrovare in ambiti più fantascientifici, misteriosi ed inquietanti, in particolare in "Remote Viewing" e la sua introduzione squisitamente astratta, in grado poi di evolvere nella più tangeriniana suspense ad orologeria, e nel già citato "Exit", sicuramente il brano più da meditazione della collezione.
E' poi un intero film quello che passa davanti agli occhi nell'accorato appello alla pace (qui mi devo fidare dei commenti, in quanto il testo declamato a mezza voce femminile è in russo) di Kiew Mission, brano che, posto in apertura dell'album, ne rappresenta un vero manifesto: tutta la poetica della band si concentra su un'attenta ricerca di suoni innovativi ed espressivi, melodie presenti ma mai pienamente prevalenti, che lasciano spazio a strati su strati di variazioni timbriche e di accento, nel migliore stile Tangerine Dream.
All'improvviso, così, ci si rende conto che da "Exit" si può estrarre un intero campionario elettronico del decennio: c'è il sinistro rumore che apre "Beat It" di Michael Jackson, sequenze che verranno sfruttate a man bassa dall'Italo Disco, i modelli per le musiche di mezza produzione televisiva americana targata anni 80, e la qualità di invenzioni sonore che, pur avendo marcatamente il sapore di quei tempi, mantengono intatta la loro freschezza. Proprio su questo punto si deve insistere: "Exit" non piace per un effetto nostalgia, ma per la sua grande coerenza e creatività, per la volontà di una band ormai affermata di creare le basi per un uovo sound.
E chissà se qualcosa dei Tangerine Dream tornerà a stupirmi (e a inorgoglirmi) anche nella quarta, (stra)annunciata stagione di "Stranger Things", che spero realizzino prima che mi venga l'Alzheimer.

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