Un'orchestrazione elegante di 5 lunghi pezzi strumentali (7 nel doppio LP) in cui elementi di indie-rock si fondono ad inclinazioni droniche, utilizzando quel riconoscibile schema soft/loud di fine millennio che ha fatto la fortuna di band coeve canadesi, scozzesi, etc. Questo piccolo gioiello del 1999 ha per punto di forza proprio quell'elemento che ha portato il genere/calderone "post-rock" (catalogazione molto discutibile) ad un monotono appiattimento di contenuti: ovvero quella fase di calma ed atmosfera difficile da ricreare in contrapposizione alle parti esplosive. Perchè sebbene in molti abbiano avuto dei risultati interessanti attraverso il contrasto di entrambe le parti - più per merito dei momenti "loud", di casino violento - trovare la chiusura del cerchio tramite la fase più emozionale è pregio di pochi.

Il chitarrista dei TarentelJefre Cantu-Ledesma, espone dunque il credo e le caratteristiche tecniche della band: "Noi non vogliamo annoiarvi, suonando i nostri pezzi. Per la linea di basso che Kenseth (Thibideau, ex-bassista, ndr.) ha creato per "Ursa Major", Jeff (Rosenberg, ndr.) ha riscritto la parte per il suo laptop, dando al brano una nuova dimensione. Ci piace l'idea di costante rinnovamento del nostro suono. Ciò rende il tutto più interessante per andare avanti".

Un uomo preistorico lancia un osso in alto, nel cielo. L'osso ruota per aria, ma... all'improvviso la scena si sposta ad una stazione spaziale rotante, tra le stelle.

From Bone to Satellite.

Trovarsi a proprio agio in lugubri richiami chitarristici Morriconiani in versione spaghetti-western da "C'era una volta il Cosmo", per poi perdersi nel fragore improvviso di feedback e dissonanze, alternando ansia e spavalderia. Le composizioni sono semplici e comprensibili, nella loro imprevedibilità. La skyline di una San Francisco notturna si nota appena sotto la vastità di quello spazio buio che fa riaffiorare ricordi di eventi futuri.

La costante evoluzione in parallelo con l'Universo, gli astri e le costellazioni non è solamente un'intuizione per questo disco, ma riassume lo spirito dei Tarentel, che da oltre dieci anni di carriera non perdono il vizio di cambiare e variare da un lavoro all'altro. In fin dei conti questa è l'essenza stessa dell'evoluzione umana: un percorso ciclico chiuso di trasformazione, che parte dall'osso e arriva alla conoscenza.

Sono 74 minuti di fredda epicità strumentale.

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