Il primo vero debutto discografico di Rory Gallagher avvenne con i Taste, power trio formatosi nel 1966 sulla falsariga dei coevi Cream e Jimi Hendrix Experience, ma meno psichedelici e sperimentali e più blues-rock puri e duri. Oltre a Gallagher, alla chitarra e voce, in questo primo disco, datato aprile 1969, vi sono John Wilson alla batteria e Richard McCracken al basso, in sostituzione del primissimo bassista Eric Kitteringham.

"Taste" è un'onestissimo disco rock dalle pesanti venature hard blues, suonato con la giusta carica, quasi in presa diretta, tranne per qualche sovraincisione chitarristica, ed intervallato da qualche episodio acustico. Sebbene il chitarrista irlandese allora fosse poco più che ventenne dimostra già in maniera evidente una straordinaria padronanza dello strumento, talento da vendere ed un'attitudine alla sana improvvisazione che troverà terreno ben più congeniale in sede live. Stilisticamente è forse ancora un po' acerbo e l'influenza dei suoi idoli e predecessori, fra i quali Clapton e Muddy Waters, è chiaramente palpabile, anche se alcune particolari soluzioni a livello di fraseggio e sound già fanno intravedere uno stile fuori dal comune. Manca però quel pizzico di originalità e personalità in più, che non tarderà ad arrivare nei lavori successivi, specie nelle performance dal vivo, per cui l'album in se, pur essendo valido, non risulta avere l'impatto innovativo e la freschezza dei precedenti dischi dei Cream, Yardbirds, Jimi Hendrix e dell'omonimo dei Led Zeppelin, che uscì qualche mese prima. Insomma, nel 1969 un disco del genere aveva forse un po' il sapore del dèjà vu, ma aldilà di questi discorsi, più che altro storici, dal punto di vista prettamente musicale resta un album di tutto rispetto, ancor più se si tiene conto della giovane età dei musicisti.

I brani migliori sono forse i due tradizionali "Sugar Mama" e "Catfish", due bluesoni lenti e potenti. Nel primo Rory eccelle non solo alla chitarra, ma offre anche una prova canora non indifferente; il secondo è il pezzo forte dell'album, un'interpretazione intensissima, Blues pesante e grosso che avanza lentamente, sicuro e maestoso come un cingolato bellico, una sorta di via di mezzo fra la "Voodoo Chile" di Hendrix e "You Shook Me" versione Led Zeppelin, con tanto di sovrapposizione fra la strofa cantata e la chitarra particolarmente tagliente e distorta. Buoni anche alcuni brani originali, tutti di Gallagher, come l'iniziale "Blister On The Moon", che alterna momenti melodici ad altri più tipicamente hard rock e "Same Old Story", sorretta da un accattivante giro di basso. "Born On The Wrong Side Of Time" è invece un elettro-acustico dall'indole vagamente pregressive, con diverse pause e ripartenze. L'uso della tecnica slide, di cui Gallagher diverrà uno dei massimi esponeti, è qui ancora un po' timido e limitato ad un paio di pezzi, la jazzata "Leaving Blues" e l'acustica "I'm Moving On".

Non un masterpiece quindi, ma comunque un disco da avere per gli estimatori di Rory Gallagher e più in generale per gli amanti del buon vecchio blues-rock chitarroso.

Nel 1971 Rory scioglierà i Taste per intraprendere una bellissima carriera solista che raggiungerà il picco più alto nel doppio vinile live Irish Tour (1974) e, nonostante la sua lontananza dai salotti buoni dello show business, riceverà diversi meritatissimi riconoscimenti, ma sempre e comunque pochi in confronto a ciò che dato lui alla musica.

Il voto che ho messo è da ritenersi puramente indicativo, da uno a dieci sarebbe stato un sette.

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