La prima parola – e la più frequente – che mi viene in mente, quasi come un refrain o un mantra, è: “Finalmente!”.

Ieri, mercoledì 15 gennaio 2014, mentre mi reco allo stadio con amici, Virgin Radio decide di mandare in onda un brano di un nuova band proveniente dall’Inghilterra. Come spesso accade quando ascolto la radio, non presto mai particolare attenzione (e forse sbaglio) alle canzoni dei cosiddetti gruppi emergenti. Questi, però, sono proprio roba forte. Più passano i secondi più mi sento attratto da quella canzone e da quei giovanotti che l’eseguono, tant’è che mi volto accanto al mio amico e gli chiedo: “Com’è che si chiama questo gruppo?”
“I Temples” – è la laconica risposta.

Bene, Temples, un nome semplice, posso facilmente ricordarmelo anche domani, quando il sonno e la notte avranno mandato al macero un bel po’ di pensieri e di idee del giorno prima. Questa volta potevo farcela, perché questi non volevo proprio perdermeli. E, infatti, questa mattina, quasi come un fulmine a ciel sereno, mi è ritornata in mente quella canzone di cui ignoravo il nome e quel gruppo che il mio prezioso amico mi ha concesso di ascoltare.

I Temples nascono neanche due anni fa, nel 2012, in Inghilterra, precisamente a Kettering, dall’unione dei due leader James Eduard Bagshaw  (cantante-chitarrista) e Thomas Edison Warmsley (bassista), ai quali si uniscono il batterista Sam Toms e il tastierista Adam Smith (non l’economista). I quattro, dopo aver registrato e caricato su Youtube alcune delle loro canzoni, ricevono la chiamata dal produttore Jeff Barrett, della Heavenly Recordings, ed ecco che arrivano i primi singoli dei Temples: Shelter Song nel 2012, seguito da Colours to Life (giugno 2013) e la canzone di Virgin Radio, Keep in the Dark (ottobre 2013).

L’album di debutto, “Sun Structure”, è in uscita per febbraio di quest’anno, ma qualcosa già circola in rete e non me la sono lasciata sfuggire. Se i primi singoli lasciavano ben sperare, l’intero album è davvero una di quelle rare delizie musicali da godersi dalla prima all’ultima traccia. Con un approccio molto minimalista – appena dodici tracce, di cui quattro singoli già pubblicati – i Temples offrono al pubblico tutto il loro talento: un rock psichedelico che affonda le sue origini nei Beatles di Sgt. Peppers e nei Pink Floyd di Syd Barrett, passando per gruppi come Jefferson Airplane e Shocking Blue. Un ritorno alle origini della musica rock britannica, nazione sempre foriera di novità musicali e sonore. I Temples decidono di ripercorrere questa prolifica via a partire dal look, fatto da folte chiome ribelli e da abiti sgargianti, luminosi e anche un po’ kitsch, fino ad infondere questa filosofia nelle loro canzoni: testi onirici e poetici, chitarre distorte e fuzz a iosa, voci sovrapposte e filtrate come se cantassero sognando, dolci tastiere indispensabili a creare quel sound e quell’atmosfera irreale e surreale. A brillare sono un po’ tutte le canzoni, ma personalmente le mie preferite sono – oltre ai succitati singoli – The Golden Throne, A Question isn’t Answere, la title-track e Sand Dance, fino alla chiusura del disco, lasciata ad un'acustica Fragments of Light. All’ascolto di Sun Structure non puoi far altro che esclamare: finalmente!

Perché, sostanzialmente, questa è la prima reazione provi se sei stanco di doverti rivolgere al passato per soddisfare le tue esigenze musicali, se trovi nei Temples un piccolo spiraglio in una scena musicale dominata da tutt’altre sonorità (talune molto discutibili), se nel 2014 sei finalmente contento di ascoltare un gruppo nuovo che ti piace veramente, senza dover dire: “carini, ma assomigliano un po’ a questi” oppure “non c’è male, ma vuoi mettere i Grateful Dead?”.

Perciò, cari amici e care amiche rockettare, il mio consiglio è quello di ascoltare e seguire questa nuova band del Northamptonshire, con l’augurio che possano avere una florida carriera e regalarci tanti bei dischi come loro debutto “Sun Structure”.

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