Nota per aver dato alle stampe il primo, strepitoso album di Motorpsycho “Demon Box”, nonché Extended Playing monumentali come il “Mountain EP”, la label norvegese Voices of Wonder propone ora un nome meno noto al pubblico dell’area “grunge-rock scandinavo” (altro nome di punta: Hedge Hog) benché provenienti da territori stilistici vagamente “metal”. Niente heavy metal d’avanguardia alla Blind Guardian, né sofisticato doom-metal gotico alla Paradise Lost: di metallico, in quest’opera resta solo l’intreccio armonico dei suoni di chitarra distorta che riveste musiche ben più eteree. Per l’esattezza, potremmo dire di trovarci di fronte ad un  ibrido progetto definibile come “i Dead Can Dance in versione metal”. Ovvero, la band romantica, inattingibile ed esoterica di Lisa Gerrard e Brendan Perry in un improbabile remix ad opera degli Young Gods a base di campionamenti dei riffs di Lars Ulrich e Richard Hampson,o le ballads sognanti ed arcane di Echo and The Bunnymen rilette dagli Helmet.

Difficilmente inquadrabile, dunque, per il suo carattere sfuggente questo progetto dal nome che riecheggia quello di altri gruppi come This Mortal Coil o His Name Is Alive, tutti targati 4AD, anche perché la struttura complessiva del lavoro, monumentale e concettuale appare quella di un opera più che di una semplice collezione di canzoni. Più facile rendersi conto di ciò che questo act norvegese riesce a produrre ascoltando il CD che tentare di descriverne i referenti. Basti l’incipit tematico con “Magma”: apocalittica e imponente, in cui gli ampi periodi epici sono scanditi da una ritmica percussiva alternata a sospensioni, e avvolta da vortici di rumore elettrico post-space rock alla maniera di Spacemen 3 e Main, sferzante, saturo e gelido. Questi flussi chitarristici incrociano voci “fuori campo” quasi figurative di volti spettrali, ora sfocati e sgranati fino a scomparire ora più nitidi: è il caso dei momenti più posati e dolci, come “Chrystal Orchyds", "Veiled Distances", si intepongono statiche pause ambient industriale, delicate fioriture chitarristiche, reprise rapsodiche, potenti e cadenzate, essendo l’intero lavoro delimitato dai due interludi strumentali “Aurora Borealis” e “Aurora Australis”. Una suite per archi e pianoforte con la straordinaria partecipazione dei Neurosis? Giorgio Moroder al mixer dei gruppi Nuclear Blast? I Metallica che si cimentano nella rilettura dell’Odissea con gli arrangiamenti di Vangelis?

L’impressione è che almeno in parte il carattere “sfuggente” di quest’opera sia voluto dai suoi Autori. Sfuggente o scivoloso, fragile e tagliente come il vetro, cioè lava che raffreddata divene una sorta di “liquido immobile”, on oceano-mare congelato nel suo moto ondoso illusorio, in cui il viaggio di Ulisse diviene ciò che si coglie in queste musiche: eterno e atemporale. Un capolavoro (quasi) riuscito.  

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