(A Mark Fischer)

Una sensazione molto anni 70, i Cluster, i Neu più quieti...

Oppure, quasi come una specie di freschezza mattutina sospesa tra arcadia e modernariato, una versione light dei Kraftwerk...

Con qualcosa di stranamente sinistro, stranamente felice.

E, in più, un filino di incongruo, un filino di buffo. Una sorta di “piacevole disagio”, come ha scritto qualcuno.

Adesione allo sfondo, a ciò che non si impone all'attenzione se non in certi momenti e si staglia e si rivela in un dolce apparentarsi all'ordinario che sfiora, suo malgrado, la magia.

Il presente che si adagia sul passato tornando su ossessioni infantili che, rimaste sottotraccia, ora s'irradiano in una malinconica idea di futuro mancato.

Il futuro del resto non è che un fantasma.

Con il perturbante che, in certi attimi, arriva all'estremo. Come se uno strano alfabeto Morse stesse decrittando il lato oscuro dell'ordine, il crepitio nascente dell'angoscia.

All'inizio del disco una voce dice “Advisory circle ti darà i consigli giusti” e suona quasi come una parodia del controllo...

Il controllo, il mettere a posto le cose. Solo che poi le cose a posto non si mettono mai e ciò che dovrebbe rassicurare è più inquietante dell'inquietudine stessa.

Ho citato i kraut rockers ma forse quella è solo una mia impressione. Tutta la faccenda Advisory, infatti, è attorcigliata a riferimenti ben più strani: le suggestioni weird di una tv all'epoca piuttosto visionaria, il precoce incrinarsi del reale e, quel che più sorprende, la fascinazione per l'anonimo, il funzionale, l'ordinario...

Musica per ascensori, oggetti di tutti i giorni, prove tecniche di trasmissione, pubblicità progresso, library music.

Del resto il nostro Advisory Man è un tale che da ragazzo si incantava ad osservare i vinili girare sul piatto. Il contrasto del piccolo cerchio del logo col nero tutto intorno gli rimandava infatti “qualcosa di molto elegante”...

E molto elegante, cari signori, è anche questo disco...

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