Come una felce secolare, guardiana del tempo e del verde, questa pianta emette nell’aria miriadi di spore, proprio come molti album hanno il dono di emettere nell’aria miriadi di particelle sonore, alcune dritte ti entrano in testa, altre più lentamente ti si conficcano nel cuore, altre inesorabilmente sono solite penetrare in un posticino stretto e tendenzialmente zozzetto.

Perché parlare di un disco come è stato prodotto, di come è stato architettato, di come è stato fatto è umano. Parlare invece di un disco di come ti ha fatto...è riconoscere l’estrema supremazia di forze esterne e dominanti. Avrei potuto anche parlare delle conosciute entità astrali parassitarie ma io non detengo licenza per cotanta libertà di pensiero e poi queste sono argomentazioni che può sostenere solo il Grande Assente.

Methodrone è così primo long take ufficioso della premiata Ragione Sociale dei BJM, mentre rubava l’attenzione di una platea apparentemente shoegaze e 90’s ed invisibilmente si collocava nelle profondità più intime del setto atrio ventricolare. Tra le oscurità selvatiche tipiche del suo irascibile front man, quello stile da dandy d’oltremanica trapiantato per caso in una troupe cinematografica di Easy Rider strafatta, camminando a piedi scalzi tra ciottoli e rottami, sorseggiando per attimi eterni vodka soda e consumando badilate di scatole di sigarette senza filtro. Fischiettando barcollanti con quelle ghiandole salivari arrostite dal brandy e vagando vagando ad ora di pranzo con pigiama, pantofole e l’inseparabile Stetson, con la carezza della sera che si approssimava e quella sana voglia di rinfrescarsi anima e core, lavandosi le ascelle nel lavandino del tour bus.

Guy De Maupassant, non ricordo in quale contesto, ma narrava che bisognerebbe amare follemente, ma senza vedere ciò che si ama. Questo perché vedere è comprendere, e comprendere talvolta è disprezzare. Una persona di stampo caucasico, con frequentazione di studi medio occidentali Taylor Made e amante per esempio di René Descartes, potenzialmente potrebbe essere afflitta da ansie metodiche sull’interpretazione di questo amor cieco. Potrebbe per esempio avvertire la priorità di sentire inadeguata per la sua visione del mondo questa cecità interpretativa, potrebbe avere la necessità di condurre l’esistenza secondo un modello, preferibilmente teoretico.

Accendetemi la luce, direbbe costernato ed affranto dall’oscurità, probabilmente.

E da quel modello teoretico salire sempre più in alto, sempre più su lungo la piramide sociale, fino alle vette del modello tecnocratico, l’ultima fermata del viaggio senza i bagagli rubati nel sonno. In altri ambiti dove opero ( ma non questo ) si potrebbe discutere di Dove ci sta conducendo effettivamente negli ultimi il culto imperante della Ragione ( altrui ) ; Gaza, Siria, Myanmar, Ukraine, Pakistan, Sudan, tenendoci per le mani insanguinate ( altrui, non le nostre ben curate e spalmate da cera di cupra) lungo quelle ultime tappe del sudario internazionale. Potrebbe forse dire che ragione e conformismo ci stanno soavemente facendo danzare inesorabilmente fino ai margini di baratri angusti e portatori di morte. Vedere è comprendere, è capire le differenze di valore del tuo vicino, essere avviati all’attrazione del giardino fiorito e più verde del vicino.

Essere avviati al culto primordiale dell’invidia.

La visione cartesiana di Dio e solo strumentale al progetto esistenziale e materiale dell’uomo, è così ben sintetizzata in questi pensieri di Blaise Pascal, rivolti al suo rivale filosofico Cartesio

“Non posso perdonare a Descartes. avrebbe pur voluto, in tutta la sua filosofia, poter fare a meno di Dio; ma non ha potuto esimersi dal fargli dare un colpetto per mettere in movimento il mondo: dopo di che, non sa che farsi di lui”.

Molto probabilmente Newcombe potrebbe avere una predilezione per la ricerca simbolista di Pascal, come nella copertina di Methodrone i volti dei componenti fatti della band sono solo percepiti, quasi immagini ridenti di un sogno, con l’epilogo stridente da cui traspare che ogni sorriso, alla fine, nasconde tra i denti un fiore selvatico e crudele. Ricercando in quei volti ed in quella armonia dei suoni densamente raccontata in Wisdom, quelle sacre “corrispondenze”, quei legami antichi e nascosti tra gli abissi dell’anima, tra oggetti di altre vite e sensazioni correnti. Con la percezione che diventa quel treno che transita al contrario, che scende lungo i pendii di quella piramide, fino a quel capolinea ed intreccio di realtà fisica e simbolica.

Perché le interazioni e le dialettiche angeliche tra Ragione ed Amore, tra il Dio strumentale e quello soprannaturale andrebbero a nozze con l’immersione nella notte ad occhi chiusi nel Methodrone-Verse, con la copertina costellata dalle immagini dei membri della band avvolte in una brughiera profonda ed il titolo dell’album che non lasciano dubbi sul fatto che quella architrave cartesiana viene radicalmente smontata e smembrata. Un po' come quando Hobbes affermò che il passaggio debole Cartesiano e nel quale crolla tutta la sua sintassi avviene quando si passa dalla constatazione dell’esperienza del pensiero all’affermazione dell’esistenza di una sostanza pensante. Qui casca l’asino, perché si passa dal piano di un dato dell’esperienza al piano di un’affermazione di tipo metafisico, ovvero il piano del riconoscimento di una realtà di cui non c’è esperienza.

Perché Dio appunto si sente. Si percepisce. Ma solitamente, non si vede.

Methodrone è avvolto nell’interezza da una fitta e densa brughiera, parrebbe una creatura sospesa nelle acque e che si aggira al largo nella notte costeggiando fondali marini inesplorati, creatura aliena a tratti desolante, a tratti gioiosa. Il mistero della musica primordiale dei BJM si plasma e si dirama come una fonte di luce che avvolge volte e capitelli sospesi a mezz’aria, in misura con arpeggi e dettami a tratti banali, a tratti soprannaturali. Un microcosmo avvolto principalmente in tre accordi basilari, reiterati in un infinito temporale di volte di fumo sospese, con le parti dell’album che sembrano a volte così somigliarsi da sembrare unica fonte sonora di flussi. Con album interi di cui ci sembra alla fine di avere ascoltato una unica canzone di 70 minuti, ma ce la facciamo andare bene. Con il canto modulare di Newcombe non poche volte ansimante e straziante, non privo di stonature e personalismi vocali, ma ce la facciamo andare bene. Perché il segreto di perle come That Girl Suicide e Crushed è nella perfetta e geometrica armonia che governa il tutto, loop riverberi echo & distortions, parte di un unico mantra di matrice ultraterrena. Come già detto, sotto l’Adunanza di Forze Esterne e dalla Genesi Dominanti.





Carico i commenti...  con calma