Quando ero adolescente ascoltavo i Chemical Brothers in cuffia o nello stereo.
Era una band abbastanza figa perchè mischiava il tamarro elettronico alla durezza del rock psichedelico. Si perchè si è sempre detto che i Chemical Brothers sono psichedelici, hai presente? ecco io non ho tanto presente perchè in verità non mi capitava spesso di ascoltarmi i loro dischi insieme alla droga. No nemmeno uno spliff mi facevo coi loro dischi. Poi il duo è cominciato a invecchiare, in "We are the night" pareva suonassero country, è stato coniato un nuovo idiotissimo termine per definire il loro ambito - edm - che ai loro tempi non esisteva e che con loro - musicalmente - non aveva nulla a che fare. E tuttora è così. Poi uscì l'ottimo "Further" dove la fusione tra rock ed elettronica si fa completa, e ora questo.

"Born in the echoes" è il disco più drogato dei Chemical Brothers. Forse la commercialissima musica elettronica che va per la maggiore oggi ha finito per incheccare anche me, ma la pesantezza di questo disco mi risulta inaudita. O forse sono sempre stati così pesanti ed era meglio che nella mia vita avessi dedicato loro qualche joint. Di certo è il caso di farsene uno con questo disco. Qui i Chemical Brothers tornano ai tempi di Dig Your Own Hole e Surrender, ma rincarano la dose. Maggiore predominanza di techno bastarda (EML Ritual, Just Bang e Reflexion messi quasi in fila, un trittico che stenderebbe un toro) pezzi kraut-rock talmente a rota che si possono scomodare benissimo i Can (I'll see you there, una versione dopata di Setting Sun) pezzi senza alcun baricentro (Under neon lights, che hanno avuto le palle di fare uscire come singolo) e scatti improvvisi di cacofonia chitarristica (la catafrattissima Taste of honey, mio pezzo preferito del lotto).

Sembra quasi che i due volessero confermare la loro identità perchè difatti non c'è davvero nulla di nuovo nel sound di questo disco, a differenza che in Further dove si affinava la dimensione kraut-cosmica fino a quel momento inaudita da parte loro. Quello che colpisce quindi è la spontanea rusticità con cui il tutto sembra confezionato, in controtendenza sia con le mode del momento che con la loro stessa discografia. Infatti c'è sempre stata una certa dose di perfezionismo nei dischi dei CB, per cui nonostante gli scatti lisergici improvvisi, i pezzi avevano una struttura piuttosto ripetitiva, spesso fino al parossismo (vedasi Push the button e We are the nights ma anche lo stesso Dig Your...). Born in the echoes spezza un pò la formula, presentando pezzi imperfetti, imprevedibili, jammati. Più rock che elettronici.

Questo nuovo piglio non mi pare funzionare sempre - devo ancora venire totalmente a capo di Under Neon Lights e non so come apprezzare il nuovo pezzo da pogo ignorante Just Bang, ma quando funziona è una goduria - vedasi title track e la successiva Radiate, che strizza l'occhio al post rock. In ogni caso a questo punto non penso che avrebbe alcun senso giudicare il disco senza un joint, per cui vedete di passare anche dallo spacciatore quando tornate a casa col disco.

Nel frattempo io me lo riascolto così, sobrio, contento di sapere che i Chemical Brothers sono ancora qui, sono ancora fratelli e compagnoni, e suonano ancora musica per tossicodipendenti e sballomani assortiti. Cose che riempiono sempre il cuore di gioia.


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