Quando il cuore è un frullar d’ali e quando le dita sono piccoli artigli indiscreti, allora anche la bocca si muta in becco e, con la ghiottoneria di una cornacchia, lo ficco in bazar scintillanti.

Stoffe dalle fogge audaci e dai colori voraci, sfiziosi orpelli dalle forme attraenti, opali ora iridescenti ora smerigliati, brusio, calpestio e poi musica, musica, musica…

…E stordimento…

I variopinti allestimenti dei Coral hanno da sempre sedotto il mio cuor di cornacchia. L’ esordio (omonimo) dove il gusto per il beat anni ’60 si riverberava in una caleidoscopica psichedelia sfrontata e fresca, vorticosa e sguazzante, la cui spuma frizzava di mille bollicine e di altrettante influenze stilistiche.

E poi il successivo “Magic and Medicine”. Più rotondo e solido, forse più maturo, sicuramente più bluesy, impreziosito altresì da accese sfumature country-western. Ciò che acquistavano in coesione però, lo perdevano in spontaneità, nella voglia di stupire…

…E di stordire…

Il mio cuor di cornacchia esulta ora! Nel retrobottega del loro bazar, tra i fondi di magazzino, scova questo EP di vent’otto minuti circa.

La luce è più fioca quì a dire il vero; le chincaglierie psichedeliche sono bagnate da più ombre rispetto al passato, ma le sorprese non mancano e l’attitudine è ritrovata.

Bizzarre schegge sonore in cui Kinks in metanfetamina tirano la volata a soffici interludi simil-Love, sghembe inflessioni dei Blur più sornioni cedono il passo a sfuriate lo-fi che lambiscono il punk, vignette oniriche si risvegliono in morbide lenzuola beatelsiane.

Sono troppo derivativi? Hanno esaurito l’effetto sorpresa? Non è tutto oro quello che luccica?

Che m’importa, con gioia stringo nel becco questo gioiellino! Sarà vero, sarà falso? Bah! Oggi il mio cuore è quello di una cornacchia, amo tutto ciò che luccica, che sgomenta…

…E che stordisce…

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