Se in America i sovversivi, anzi i terroristi sonori, erano da individuare nei Fugs dei guru Ed Sanders e Tuli Kupferberg, il loro corrispettivo in Inghilterra erano i Deviants di Mick Farren. Un modo anarchico ed oltraggioso (il motto era: grass-ass-sex) di fare musica che sembrerebbe assurdo perfino oggi che ne abbiamo viste e sentite di cotte e di crude.

Ma quanta creatività in questo assalto al sistema musicale da parte di assoluti freaks del sottobosco underground che usano frullare rock, blues, psichedelica e non sense in un cocktail altamente stimolante proprio come quello delle anfetamine che allegramente consumavano. Mentre gli altri gruppi psichedelici del periodo sognavano i folletti e gli unicorni, Farren e la sua banda, strappata ad impieghi da commessi o impiegati dei telefoni, conduceva la propria crociata politica contro guerre e convenzioni. E' chiaro che all'epoca pazzoidi del genere, guidati da un cantante con una voluminosa capigliatura afro che muggiva inguainato in cuoio nero, erano ritenuti assolutamente non commerciabili e nel 1967 dovettero prodursi da soli il primo disco, quel "Ptooff !" che è underground dalla testa ai piedi, compresa la possibilità di essere comprato attraverso la stampa alternativa. Ma i venti di guerriglia cominciavano a spazzare via collanine e incenso scuotendo la vecchia Europa con i carrarmati russi a Praga e le fiamme in piazza a Parigi così di conseguenza vennero alla ribalta gruppi politicizzati come i Deviants. Le case discografiche come al solito fiutarono l'affare e la Island li mise sotto contratto tramite la Stable Records, l'etichetta creata apposta per "sporcarsi" le mani con questo tipo di rock alternativo.

Nel 1968 mentre i Pink Floyd servivano il loro "piattino dei segreti", i Deviants tengono alto l'onore del rock più crudo conducendo un altro assalto sonoro con "Disposable".

I discografici si saranno chiesti se vi suonasse sempre la stessa band! Nell'opener "Somewhere to Go" la litania cavernosa di Farren sull'ostinato giro di basso prelude addirittura all'organo Hammond e al lancinante assolo della Gibson di Ian "Sid" Bishop. Altrove come in "Fire in the City" piazzano una ballata di soul bianco con tanto di sax fatta cantare perfino in coretto dai roadies del gruppo! Ancora vi sono excursus psichedelici come in "Jamies Song" da far impallidire gli specialisti dell'epoca oppure uno strumentale come "Normality Jam" che non stonerebbe per niente sull'ultimo disco dei Beastie Boys.

Ma i brani più incredibili sono quelli che uscirono anche su singolo: "You ‘ve Got to Hold on " che è un grande inno garage sulla scorta dei Count Five condito dai furiosi assoli della chitarra di Bishop e lo sfottò sui rivoluzionari da strapazzo di "Let's Loot the Supermarket". Questo brano è da raccontare perché è una sorta di divertessement corale dove sono invitati a interagire i session men, roadies, groupies e amici del gruppo con schiamazzi, risate e applausi che fanno capire come droghe di tutti i tipi circolassero per lo studio di registrazione. Beh, alla fine sarete coinvolti dall'ilarità generale come se anche a voi fosse stata passata la metedrina.

Dieci anni dopo saranno i Clash con la loro "Lost in the Supermarket" a perdersi nel supermercato invece di saccheggiarlo. E non è esattamente la stessa cosa.

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