Senza voler usare un linguaggio icastico e per forza parlare di quadri, i concerti dei Doors possono essere definiti come degli spettacoli tratteggiati da delle colorazioni tanto vivaci quanto nitide. La musica dal vivo della band riflette quel che è in grado di generare una narrazione dai toni oscuri con sfumature miranti all'ignoto. Un'intensità che si muove al fianco di quelli che sono i binari dell'emozione e del turbamento ai margini dell'eccitazione, indicando l'unica strada liberatoria da intraprendere sino al raggiungimento della vera catarsi. E' questo l'intendimento dei Doors quando il live act diventa la tramutazione in teatro mitologico in cui vengono a convergere musica evocativa, testi delle canzoni e Jim Morrison che mettendo i panni dell'euforico maestro spirituale, si ergeva al ruolo di indiscutibile guida cosmica in un contesto in grado di rievocare un vero e proprio Living Theatre.  

"Absolutely Live" è la  riproduzione riuscita di un set ideale che vede confluire i singoli concerti (tra il Madison Square Garden di New York, l'Aquarius Theatre di Los Angeles, lo Spectrum di Philadelphia, ed altre posti ancora) tra il 1969 ed il 1970, in un'unica esibizione resa sublime  dalla perfezione maniacale del produttore Paul Rothchild, protagonista di un lavoro di montaggio così capillare, finalizzato alla realizzazione quanto più vicina alla perfezione per ogni brano. L'ingegnere del suono Bruce Botnick, ricorderà successivamente che per l'occasione furono impiegati dei microfoni stereo e delle tecniche di registrazione non ancora definitivamente collaudate, rifiutando di effettuare sovraincisioni in sede di assemblaggio.

L'introduzione del presentatore è estratta dallo show allo Spectrum di Philadelphia ed il pubblico viene invitato a prendere posto se si vuole che i Doors comincino a suonare. Per entrare subito nella giusta atmosfera parte "Who Do You Love" dalla penna di Ellas McDaniel (ai più conosciuto come Bo Diddley) che ha rappresentato uno degli apici esecutivi nei live act al London Frog e la naturale congiunzione a quella meravigliosa tripletta rappresentata da "Alabama Song", " Backdoor Man" e l'inedita "Love Hides", vera prolusione al vigore di "Five To One". La naturale inclinazione verso il blues di Chicago trova pieno sfogo nel divertissement proibito di "Build Me A Woman" mentre una versione fiume di "When The Music It's Over" eseguita al Felt Forum il 17 gennaio del 1970, ci da modo di apprezzare il famoso urlo ("Shut Up!")  di Morrison destinato a passare alla storia e la simpatica ramanzina che lo stesso singer indirizza al pubblico richiamandolo al silenzio ("E' questo il modo di comportarsi ad un concerto di rock'n'roll"?). Sugli applausi l'amore per Dixon viene proposto con "Close To You" in cui è Ray Manzarek a prestare energicamente la propria voce, mentre un altro inedito "Universal Mind" dall'umore mesto e facente parte delle session di "Morrison Hotel" porta dritti a "Petition The Lord With Prayer" - che pur essendo prodromica ad una differente e riuscita versione di "Break On Through" -, in cui ad arte vengono improvvisati le beffarde rime di "Dead Cats Dead Rats".

Il disco lontano dall'esser un party album, fa scivolare l'ascolto con naturalezza per via anche di quel senso di racconto unico in cui vengono a confluire le 20 tracce principali, trasmettendo l'essenza di un gruppo in grado di accarezzare e graffiare nell'espressione della propria arte pur non giganteggiando per perizia tecnica.

Ancora un inedito, ma questa volta siamo di fronte a quella brillante illustrazione dei momenti salienti dell'ascesa di Re Lucertola e della sua stirpe, tra citazioni autobiografiche ed ambientazioni estatiche che prende il nome di "Celebration Of The Lizard".  Una serie di poesie tra campanelli, sonagli ed una narrazione surreale in cui fanno capolino fulminei stacchi di batteria, nervosi blitz di chitarra ed un irritabile quanto cedevole organo. L'originale composizione poetica contribuisce a far  resuscitare la declamazione dell'assurdo di "A Little Game", presente sul demo del 1965 con il titolo di "Go Insane", sepolta sino ad allora negli archivi dell'Aura Records, una divisione della Pacific World Records. L'irrinunciabile bis è affidato alla trascinante "Soul Kitchen" che oltre a proporre un'esecuzione sopra le righe, con il senno di poi  si dimostrerà anche profetica per via dei versi introduttivi ("Well, the clock says it's time to close now - I guess I'd better go now - I'd really like to stay here  all night" = L'orologio dice che è davvero ora di chiudere - Credo che farei meglio ad andare - Mi piacerebbe davvero star qui tutta la notte).

Più di ottanta minuti in cui è possibile rilevare anche delle uscite di tempo come delle stonature, ma tutto compiuto nel nome della rappresentazione di un'arte chiamata musica in cui è lo sciamano a condurre un esperimento medianico con gli abitanti del villaggio, intenti a favorire il liberatorio smarrimento di cui si rende protagonista. L'album ritrae quattro giovani musicisti nel pieno della loro vitalità artistica, fautori di un sound innovativo classificato come rock psichedelico (dal greco psyché : anima, e diloun: mostrare) in grado di favorire l'ampliamento della coscienza e l'esplorazione della percezione interiore. Una compiuta e geniale fotografia le cui variazioni cromatiche, questa volta riescono ad essere percepite con orecchie e mente e non con gli occhi.     

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