Grezzi, epici, barbuti. Ecco i primi tre aggettivi che mi vengono in mente pensando ai tre doomsters americani. Tre uomini duri a vederli, che riflettono il loro modo di vivere nella musica che suonano: lenta, acida, un doom psichedelico di stampo Cirith Ungol.
"Suffer no guilt" è il secondo lavoro in studio della band, che esce nel 2006 a due anni di distanza dall'ottimo debutto "The awakening". Questo secondo cd è l'ideale prosecuzione stilistica del primo: chitarra lenta che disegna trip sonori, batteria e basso di contorno alla voce malsana del leader Karl Simon.
Partiamo con il dire che "Suffer no guilt" è un grande album, che poteva essere un capolavoro se la band non avesse voluto strafare. Questo non è un male: i The gates of slumber hanno voluto puntare in alto, forse troppo. Consapevoli della loro attitudine musicale e incuranti del mercato discografico hanno continuato sulla loro strada, portando all'estremo la loro epica concezione di doom metal. Per loro non è possibile fare canzoni senza piazzarci il distorto suono della chitarra, che è per l'ascoltatore una vera e propria spina nel fianco. Uno dei pochi album doom che riesce davvero a dar fastidio con le sei corde. Manifestazione lampante di questo modo di costruire tracce è la splendida "Riders of doom", malsana song da dodici minuti che alterna inserzioni propriamente heavy/psychedelic a sezioni puramente doom. Il tutto accompagnato dalla voce "vetrata" di Karl Simon.
Probabilmente coscienti del pericolo di toppare con un album volutamente massiccio e tirato per le lunghe (quasi 75 minuti), i tre di Indianapolis hanno deciso di piazzare diversi episodi strumentali tra cui spiccano "Wyrmwood" e la nordica "The woe of kings" che ci riporta indietro ricordandoci il maestro Quorthon per atmosfera e suoni. Dopo tutti questi elementi positivi è innegabile notare che il minutaggio di alcune tracce, come la titletrack e il dolmen sonoro "God wills it" spezzino inevitabilmente il ritmo del disco. E' nelle corde del genere ascoltare song dal minutaggio elevato ma in questo caso, nonostante siano ben costruite, è proprio la loro durata che ne limita l'assimilabilità, con conseguente aumento della noia.
Nonostante questo peccato, per il resto, l'album scorre abbastanza agevolmente. Vengono enfatizzate le coordinate artistiche della band e viene ribadito a due anni di distanza da "The awakening" che i The gates of slumber fanno sul serio. Infatti, grazie a Suffer no guilt, il gruppi si è garantito un discreto successo di pubblico, sebbene la proposta sia alquanto selettiva.
Un ultimo appunto: la copertina... lasciatela stare...
1. "Angel Of Death" (5:33)
2. "Suffer No Guilt" (14:06)
3. "Gemini" (1:54)
4. "Riders Of Doom" (12:11)
5. "Slay The Weak" (3:50)
6. "Wyrmwood" (3:22)
7. "Dweller In The Deep" (7:08)
8. "Children Of The night" (1:31)
9. "God Wills It" (20:23)
10. "The Woe Of Kings" (4:37)
Elenco tracce e video
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Altre recensioni
Di Hellring
Tre membri che riescono con il loro stile scarno e seminale a creare dei muri sonori da cui non si scorge via d'uscita.
"The Awakening" è una grande opera d'esordio, forse un po' statica, ma potente e d'impatto come il doom deve essere.