I Germs, da Los Angeles, sono stati forse i primi maestri dell’hardcore.
Il loro primo e unico L.P., uscito nel 1979, ha rappresentato uno spartiacque nella storia del rock estremo: da un lato, ha portato alle estreme conseguenze 10 anni di deflagrazioni sonore, dal garage-rock di Stooges e MC5 al punk di Ramones e Sex Pistols, passando per l’hard-glam dei vari NY Dolls e Dictators; dall’altro ha segnato un punto di partenza per lo sviluppo oltranzista che il rock ha avuto nel corso del decennio successivo.

Nel 1979, i Germs erano probabilmente la rock band piu’ estrema del pianeta, assieme agli inglesi Motorhead. La loro musica faceva leva su alcuni semplici ma efficaci elementi: la voce marcia e disgustata di Derby Crash (un’esasperazione di Johnny Rotten), la chitarra abrasiva e scordata di Pat Smear, la batteria ossessiva di Don Bolles e soprattutto il basso di Lorna Doom, vero perno musicale della band. Con le sue linee potenti, versatili, dinamiche, vertiginose, la Doom ha mutato radicalmente il modo di suonare il basso in un contesto estremo, conferendo allo strumento una funzione non piu’ solo ritmica ma anche melodica: e’ stata probabilmente la prima grande bassista donna, di immensa influenza sull’ hardcore dei decenni successivi.

Se e’ vero che per certi aspetti i Germs restano ancora un gruppo punk, come dimostrano le cantilene epilettiche di “Communist eyes” e “Lexicon devil”, non si puo’ negare che brani come “What we do is secret”, “American leather” e “The slave” appartengano gia’ ad un'altra epoca. Sono brani brevi, lapidari, incendiari, che tuttavia si aprono saltuariamente verso costrutti armonici leggermente piu’ complessi (“Richie Dagger’s crime”, “Strange notes”, “Dragon lady”) o scorate melodie che si fanno strada in mezzo al caos di chitarre e piatti (“Our way”), attingendo magari dal vecchio garage-rock (“The other newest one”). I capolavori del disco sono pero’ i brani da cui emerge in maniera piu’ eloquente il senso di tragedia (la tormentata “Land of treason”), di frustrazione (“Manimal”, che parte a ritmo strascicato per poi lanciarsi in una progressione da manuale), di masochismo (“We must bleed”, forse il primo brano grunge della storia) e di decadenza (i 10 minuti conclusivi di “Shut Down”, un blues dei bassifondi, con la chitarra di Smear che si lancia in improvvisazioni free-form che non poca influenza hanno avuto sul grande Gregg Ginn) che costituiscono l’essenza dell’arte dei Germs.

Dietro alla ferocia sonora, si percepisce un retrogusto amaro e disilluso, che fa del disco, in un certo senso, l’opera “definitiva” degli anni 70, il punto terminale di una parabola discendente che ha condotto alla fine di ogni utopia. In definitiva, “GI” resta un album tra i piu’ importanti della storia del rock, sia perche’ rappresenta un momento decisivo nella sua evoluzione, sia per l’ efficacia drammatica con cui riesce a rendere in musica un paesaggio (la “urban wasteland” di Los Angeles) e i suoi umori, come solo gli X (da un’ altra prospettiva e in altri termini) avrebbero saputo fare in quegli anni.

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