Rainy Grounds: The Good & The Bad Weather in the Mood of Your Folk Mother.
....................................................................................................................................

Paragraph 1 Calls from London. (incoming traffic) Cappotti scuri, scarponi da lavoro, coppole, borsalini e cilindri, anfibi, cerotti sui nasi e fasciature alle mani, stivaletti in pelle anni '70. Una basilica, un gatto nero. Sui volti i segni del tempo che passa. The Good, The Bad & The Queen sono una superband britannica. Prima ancora di proporre un microcosmo sonoro propongono un immaginario da public house inglese col menù di salsicce, fagioli, uova, patate, pomodori, funghi, formaggio secco e fuso, birra, biscotti al burro, thè, caffè lunghi, luckies, pioggia e nebbie londinesi. Un nome bellissimo, un folk piovifero e fumoso, operaio e artigiano, in realtà imprendibile e rarefatto che si lega con certo dub roots e ad alterazioni del reggae di Kingston senza il culto e i dogmi di Jah, a parole calde e saturnine in testi di quotidianità quasi rassegnati e imbevuti di cordoglio. Un'indole circense da luna park che rende il tutto forse ancora più melanconico, tenero, commovente. Herculean.
Musicisti senza dubbio di gran mestiere. Suonano scassati, trasandati, ma impeccabili.
Si muovono, indiscutibilmente, all'interno di una tradizione tematica e musicale forte, sfumata nell'immagine e svanita in un tempo mitico, dalle coste della Cornovaglia a Portobello, da Luton a Blackpool, ghost town songs nascoste tra i grigiori di conservatori e laburisti di West London.
Musicalmente e tematicamente lucidi, lineari, poetici. Sono l'inizio di una conversazione, non la sua fine. Temperamento gotico, fascinazioni western, performance d'epoca, Highlife.
Moderni Gentlemen, tutti degli ex. Gran gusto e gran classe West Side Century.

Paragraph 2 Northern Souls. GBQ sono un supergruppo di attori di un Musical trasmesso di sera sulla televisione di Stato. Suonano in una stanza piena d'ombre in un buio fuso tra lumi a gas, catene di lampadine a bulbo rosse e verdi e qualche abat-jour. Proprietari di un incantesimo elettroacustico di quiete e melodie plumbee, fatto con comodo, con passo lento. Minuterie, archi, cori, organetti, armoniche, oboi, flauti, carillon, arpeggi acustici, poliritmi, suoni da giostra, fracassi da banda musicale, la bassa costante di Simonon. Dead of Night, 1945. Dead of Winter.
Luci tetre di lampioni dell'Ottocento, il ferro nuovo scintillante del Secolo Breve, le stagioni delle piogge, François Maréchal, toni in bianco e nero, teatrini, cabaret, vaudeville, chiaroscuri, locali di legno Coffee & Books, le campane che rintoccano foschie e spettri, Geoffrey Chaucer, letteratura, un Volume Primo di un'opera di inizio Novecento rimasta incompiuta. Lirica ed Epica. Roba da Biblioteca del Dopoguerra.

Single Chapter Stories From England (northern lights). La banda ha pubblicato in tutto due long play. Gennaio 2007, The Good, The Bad & The Queen (★★★★☆), concept: La vita in Inghilterra durante la Seconda Guerra Mondiale; Novembre 2018, Merrie Land (★★★★), un altro concept album: La vita in UK Post-Brexit. Undici anni. L'Inghilterra pensata come Madre, Donna, Patria. In mezzo qualche singolo.
SFE (★★★☆) è la collezione non ufficiale di tutti i lati B di quei singoli rilasciati per il primo album, messa in rete da qualcuno, forse da loro stessi, liberamente reperibile tramite un link. Sei pezzi buoni che effettivamente avrebbero potuto compromettere e forse appesantire la magia attutita, misuratissima, di quel full length, su tutti: Start Point [Sketches of Devon], un acciottolarsi di tazze, cucchiai e piatti, valzer, jazz, una gran bella grancassa in una Dancehall in chiusura; The Bunting Song in una sua versione acustica vezzata da un fender rhodes, e poi le dissonanze, i fischi, gli attriti stridenti di pochi attimi sublimi di Back in the Day. Poi un divertissement dimenticabile, un paio di versioni live passabili, e una versione demo completamente inutile e brutta rispetto alla versione finale finita su disco, che era una perla acustica di bellezza veramente rara, ma questa non è colpa del compilatore. La roba messa insieme è discreta, ma una cattiva gestione della continuity rende eccessivamente dispersiva la tracklist così pensata, un servizio di compilazione che quelli di Championship Vinyl avrebbero aborrito rabbiosi.
Dieci tracce per 40 minuti di musica. In copertina un quadro dello stesso Simonon, "The Thames from Millbank", oil on canvas. Per una lista completa delle loro b-side mancherebbero solo le quattro versioni delle due out-take del secondo album, vale a dire The Imperial e St. George and the Blackbird.

Paragraph 3 Northern Lunch. L'interno di una cucina a mezzogiorno sui fuochi, tante nuvole cariche d'acqua atlantica e poco sole sulle Morlands. Allen fa i cruciverba e giochicchia con dei dadi, tambureggia e piatteggia più che altro, toccando poco e con grande precisione il rullante, minimizzando in qualche modo il suono complessivo, ma non mancando mai dei suoi consueti e incredibili intrighi percussivi.
Tong lava le stoviglie, diffida del latte e nei dischi fa il suo mestiere con flemma britannica. Taciturno e riservato, è il suo carattere nordico. Essenziale a tutto l'apparato economico, ricco in realtà di tante e tali sfumature che vengono fuori e crescono con gli ascolti. Simonon dipinge quadri rustici con uova, coltelli, forchette, portachiavi, pacchetti di sigarette e accendini, pesci nei piatti e limoni. Dissotterra il suo basso da un cimitero militare, affetta pomodori, frigge bacon per tutti, telefona con una tazza di caffè istantaneo in mano e tende spolliciate dub utilizzando pochi plettri. Albarn, una patina di smog bagnato, cucina per tutta la brigata, tagliatelli, ravioli con olio d'oliva. Canta, sussura, proclama canzoni popolari e martella sui tasti di pianoforti e organi, suona Tin Pan Alley Blues con dentro tutte le malinconie del piano Beatles. Calcio e politica, musica e politica, cibo e politica nelle radio nazionali. Sul piano cottura una moka.
Sul tavolo da pranzo un giornale con il calendario di tutte le partite della settimana.
Mods, Rude Boys, Jamaica. Dalla Nigeria al Pakistan.

Paragraph 4 Down to London. The Good, The Bad & The Queen non si considerano un supergruppo.
The Good, The Bad & The Queen non era neanche il nome scelto, quello è stato designato come tale solo dopo, in divenire. Fanno un folk invernale per osservare le strade umide da un'automobile e gli alberi da una stanza, attraverso una finestra coi vetri bagnati, in un giorno di forti venti da Nord-Ovest.
Utilizzano stereotipi, ma sanno servirsene, offrono agli ascoltatori un posto della mente trasognato, una realtà evanescente che è sfumata lentamente. Daily Press.
A parte la Gran Bretagna, GBQ attraversano anche campagne francesi, la cultura europea e le pitture di paesaggi belgi con tutti i loro Bâtiments Industriels del 1929.
Mettono su 45 giri 7″ di Platters e Booker T. & the M.G.'s durante le loro interviste.
Il termine per definire il loro lavoro, forse, non è quello dell'incerato "antico", ma quello del più complesso "vecchio". Sapienza che si fa, negli anni, melodrammatica. C'è un'espressione popolare in Inghilterra, al di là di Sergio Leone e Morricone, al di là di quelle fascinazioni Spaghetti Western. Lì c'è il Buono, c'è il Cattivo e c'era la Regina. La Regina era al di sopra di tutto, la Regina poteva permettersi tutto. Istantanee, secondo il loro punto di vista, del cuore della Londra di ieri, di quella di oggi, di quella di domani, lì dove vivono i buoni e i cattivi, e dove come sempre c'era la Regina. Poi arriveranno i souvenir dalla Post-Brexit, l'attualità di questo tempo, le esperienze, le architetture, e ancora arriveranno le Cartoline da Westminster.
The Good, The Bad & The Queen sono ricomparsi una seconda volta dopo uno iato di oltre un decennio. Allen se n'è andato da poco. GBQ forse oggi non esistono più.
Open the North Pole, Leaving a Great Hole. then... Back in the Day. (outgoing traffic)

Carico i commenti... con calma