E' anche possibile andare avanti senza guardarsi indietro e gettare nella discarica della nostra esperienza alcuni mattoni del nostro impianto culturale, tralasciare noi stessi abbandonando per la strada le nostre acquisizioni. Ebbene così potrei fare, commettere questa grave imprudenza e trovarmi di fronte al baratro della mia personale sensibilità musicale. Allora ragazzi, onde evitare di sbandare verso forzature che mi negherebbero, inserisco nel pentolone delle meraviglie di Debaser, un diadema altamente splendente quale è stata una delle bands più raffinate di fine '60, gli Idle Race, perciò come in precedenza occorre tornare nell'Inghilterra dei "tempi d'oro", ovvero nel feudo di Sua Signoria "lo scarafaggio", se non altro, per semplice correlazione.

Originari di Birmingham, furono una derivazione del primo gruppo "Mike Sheridan and the Night Riders" formatosi nel 1963. Nelle proprie file vantava alla chitarra e alla composizione un giovane Roy Wood, futuro leader di Move ed Electric Light Orchestra. Nel 1965 Wood e Sheridan lasciarono il gruppo che rimase nelle mani del chitarrista ritmico Dave Pritchard, del bassista Greg Masters e del batterista Roger Spencer. Dopo un breve reclutamento del chitarrista Jonny Mann, il nucleo trovò nel 1966 col giovane chitarrista prodigio Jeff Lynne il suo leader, così dopo diverse trasformazioni si costituirono gli Idle Race. Tra il '65 e il '68 in UK andavano via via a condensarsi alcuni stilemi musicali che concorsero al consolidamento del "gusto popolare", uno di questi era una certa canzone pop-melodica di facile fruizione, che poteva all'occorrenza essere arricchita da accorgimenti innovativi, quali la diffusa psichedelia effettistica. Questo atteggiamento compositivo, condusse a produrre musiche più o meno interessanti, molti furono gli interpreti, anche tra i più illustri che ne trassero i vantaggi nell'usare le nuove invenzioni. Chi crede però che gli Idle Race furono rappresentanti di questo atteggiamento piuttosto convenzionale, rivolto esclusivamente al grande circuito della musica leggera, al consumo radiofonico e discografico si sbaglia. Nonostante furono supportati da gente come John Peel e Kenny Everett, rispettati dalla critica e da ammiratori famosi quali i Beatles e Marc Bolan, non ebbero il meritato successo dovuto per lo più al grado di intellettualismo insito nelle loro canzoni e forse per il fatto che nel '68 il loro sound melodico stava lasciando il passo a nuove forze espressive che di lì a poco avrebbero dato via al nascente linguaggio prog.

Ad un primo ascolto sembrerebbe avvalorata la tesi dell'easy listening, le loro apparenti mielose canzonette racchiudono invece, arrangiamenti raffinati assunti sapientemente dall'esperienza psych-british, che le conferiscono una vaga illegibilità. Sarà sopratutto la chitarra estremamente misurata di Jeff Lynne, sempre al servizio dell'economia musicale, a marchiare con estraniante originalità, tutti i pezzi del loro primo e più importante lavoro "Birthday Party" del 1968.

L'album costituito da tredici tracce, si apre con "The Skeleton and the Roundabout" che sembra carpita in toto dalla Bonzo Dog Band, quindi l'arcinoto augurio di "Happy Birthday" fa da brevissimo intermezzo per l'entrata del primo capolavoro del disco "Birthday", una canzonetta slow-time dagli accenti inquietanti magistralmente arrangiata. Il testo non totalmente rassicurante di "I Like my Toys" nonostante contenga nel suo interno un siparietto musicale da cartone animato, ci rimanda per sensazione sopratutto alla barrettiana "Bike" di "The Piper at the Gates of Dawn" e anche a "Free Four" di Waters in "Obscured by Clouds". Con "Morning Sunshine", la ritmica minacciosa di un tam tam in sottofondo, incupisce il canto il canto di Lynne in cui si avvertono i semi della malinconica "Nowhere Man" di "Rubber Soul". La splendida "Follow me, Follow" dà spunto al gusto generale che si avvertiva in "Spare Parts" degli Status Quo. Ancora Bonzo Dog Band per "Sitting in my Tree". Altra piccola perla è "On with the Show", ballata pop dai riflessi effervescenti. "Lucky Man"è un connubio tra "Strawberry Fields Forever" ed "Equestrian Statue" di "Gorilla" e "Mrs.Ward" ricalca ancora lo stile Bonzo, ma con minor ironia, "Pie in the Sky" omaggia i Tyrannosaurus Rex di "My People...", "The Lady Who Said She Could Fly", altra splendida gemma con di tutto un pò, è la più classicamente allegabile al gruppo, infine "End of the Road" si chiude con un altro siparietto musicale da cartone animato nel nome dei Beatles.

In tutto questo lavoro spicca la voce dolcemente suadente di Jeff Lynne e la sua chitarra dal suono mimetizzato, assume a volte le sembianze del violino o di uno strumento elettronico a seconda del tipo di arrangiamento. Gli Idle Race esprimono comunque un sound più morbido rispetto a Elmer Gantry's Velvet Opera o Eyes of Blue, più simile a Kaleidoscope o Zombies e non senza "contenuti psichici". Come altri gruppi dell'epoca, la loro musica fuoriesce dai canoni della scontatezza, anzi per sua natura si presta a diversi livelli di lettura. L'ascoltatore, partendo dall'immediata sintesi, può addentrarsi alla ricerca di svolgimenti sonori paralleli più nascosti. Lo stile pop da loro adottato, funge da piacevole rivestimento ad una lieve tensione misteriosa. Per finire ricordiamo che nella lista dei virtuali invitati, fra gli illustri personaggi storici menzionati nel retro della cover figurano omaggiati: Little Richard, John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Brian Jones, Roy Wood, Scott Walker, Buddy Holly, Elvis Presley, Cliff Richard, Fats Domino". Anche noi curiosi, oggi, vogliamo essere del gruppo... e così sia. Si dia quindi, inizio al party!

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