Scratch Acid / Jesus Lizard. “Che nomacci, ma possibile mettono sti nomi?”

Ah, si tratta proprio dell’ubriaca ascesa nel tempio del noise hardcore di quel tipaccio di David Yow.

“Nella vita c’è tutto questo bisogno di eccedere e di mettersi in mostra? Tanto bello il vivere anonimo e senza rischi”.

Magari non a tutti spetta lo stesso percorso.

“A volte penso se vivere sia l’accumulare semplicemente di ore e decadi”.

L’America degli anni Ottanta non possiede più la filosofia di vent’anni prima, quando si stava tutti in un prato a jammare su “Dark Star” e “Calvary”. Si è quasi perso la speranza, si è più scontrosi e arrabbiati. Reagan e Tatcher mettono il dito nella piaga, e che dito! Infieriscono così tanto da spaccare inevitabilmente la società in due tronconi: bianco o nero. La scena noise/post hardcore americana impregna tra le righe del suo marasma cacofonico provocatorio questa coscienza polito/sociale.

I geni ci sono, come in ogni decade (o quasi tutte le decadi…nel Duemila non ne vedo troppi). Steve Albini è il guru della generazione e del movimento. Una sorta di Brian Eno tuttofare, musicista e produttore di livello eccelso. Parlo di Albini poiché è il produttore degli album più importanti dei Jesus Lizard, band di quel mattacchione di David Yow, citato pocanzi. Quest’ultimo inizia a stuprare (si fa per dire oh) palco e pubblico nel 1984 con gli Scratch Acid, gruppo per niente amatoriale che riesce a lanciare almeno tre o quattro brani seminali per il genere (“Cannibal”, “Greatest Gift”, “Monsters” e “Mary Had A Little Drug Problem”).

Devono ringraziare a gran voce, ovviamente, i teatrini psicotici infernali dei Birthday Party di Nick Cave (e sicuramente anche Captain Beefheart di “Frownland”). Da lì si è iniziato a capire che la musica è completamente terminata. Stop progressive, jazz e psichedelia. Si deve sancire la distruzione dell’arte con il punto di non ritorno più forte e più osceno.

“Ah, e gli Stooges e i MC5 dove li metti?”

Certo. L’anarchia oltraggiosa di “Kick Out The Jams” con Iggy che sbraita in “1969” sono i punti cardine per tutti coloro che hanno iniziato a contare su watt a mille e risse gratuite nei live. Ma oltre questo, negli anni Settanta, c’erano anche i Genesis, i Roxy Music…Invece, nella metà degli Ottanta ti trovi i rumorismi sconci di Mudhoney, Sonic Youth, Butthole Surfer, Melvins...

Nel 1990, terminata l’esperienza con gli Scratch Acid, David Yow (voce), Duane Denison (chitarra), David Sims (basso) e Mac McNeilly (batteria) formano i Jesus Lizard. Mossa fondamentale che arricchisce di molto la scena presente fino a quel momento (non che non ci bastassero i Sonic o “Touch Me I’m Sick” dei Mudhoney, ma comunque…). C’è bisogno di un progetto innovativo, che non badasse soltanto a copiare qualcun altro. I Jesus Lizard sono la distorsione perfetta dei Birthday Party e degli Stooges più sguaiati. Nel 1989 esce fuori l’EP “Pure”, dove troviamo subito lo shock di “Bloody Mary”.

Il primo album “Head” (1990) è la dimostrazione eclatante di tanta sana furia. Non c’è solo caos, è presente anche un’ottima tecnica strumentale, che non è poco! “One Evening” ha l’onore di aprire il disco e il sound generale del combo americano. Linea di basso omicida, labirinti di chitarra e linee vocali equiparabili a una sassata. Insomma, uno dei brani più rappresentativi del noise hardcore, insieme a “Bloody Mary”. “S.D.B.J.” è formata da “stop & go” che danno il via a un’ansiogena atmosfera condita da “sublimi” versacci, urla invasate e svariato blaterare. Un po' di paura arriva.

“My Own Urine” e “If You Had Lips” fanno proseguire perfettamente questo insano cabaret, lasciando spazio sia al declamare malato di Yowe che alle sfuriate degli altri tre. “7 VS 8” anticipa qualcosa del futuro “Goat”, mentre “Pastoral” riporta la linea sbilenca di “Albatross” dei Public Image Ltd., omaggiando così Lydon e soci. Le successive “Waxeater” e “Good Thing”, aventi poca durata e linee dritte a mille, riescono a non far precipitare l’album nella noia e nella ripetizione.

Il colpo di grazia viene data dalla massiccia “Killer McHann”, dove le botte di rullante e piatti si scontrano gioiose con il ciarlare angosciato di Yowe. L’anno successivo arriva il miracolo di “Goat”, dove le varie “Then Comes Dudley e “Mouth Breather” portano definitivamente in gloria i Jesus Lizard. Ci sono anche altri album interessanti, come “Liar” e “Down”, che riportano nuovi singoli infuocati (“Boilermaker”, “Gladiator” e “Fly On The Wall”) forse, però, troppo ancorati allo schema classico e poco propositivi. Ma del resto, quando hai un produttore come Steve Albini, tutto è più “kool”.

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