Sono passati esattamente quarant’anni da quel concerto dei Social Distortion, che Keith “Dexter” Holland e Greg Kriesel non riuscirono mai a vedere. Talvolta il destino spinge impensabili sliding doors e la rabbia diventa la penna che scrive storie iconiche e infinite. Due amici, una bella incazzatura per un torto subito, la voglia di diventare fabbricanti di quella musica che tanto amano e il gioco è fatto. Chissà se il buttafuori di quel locale di Irvine, California, avrà mai saputo di essere stato il reale responsabile della nascita degli Offspring. Con buona pace dei fan del destino.

Per essere precisi, prima degli Offspring c’erano i “Manic Subsidal”, embrione composto da una lineup completamente rimaneggiata, che vedeva Doug Thompson dietro il microfono, Kevin “Noodles” Wasserman alla prima chitarra, Dexter Holland alla seconda chitarra, Greg Kriesel al basso e Jim Benton alla batteria. Il tutto ebbe breve vita, il tempo di una sola canzone, “Hopeless”, inserita in una compilation (We Got Power Vol.2) e consegnata senza troppo rumore alla storia. Poco dopo, Thompson se ne andò lasciando il microfono a Holland, seguito a ruota da Jim Benton, che passò le bacchette a James Lilja.

Il moniker “The Offspring” diventerà realtà nel 1986, accompagnato dal primo singolo della band, “l’ll Be Waiting/Blackball", uscito sotto l’etichetta virtuale Black Label Records. Esatto, virtuale, perché non esisteva alcuna etichetta discografica con quel nome (Black Label era una birra molto apprezzata); trattavasi di un’invenzione ad hoc per dare visibilità e credibilità a un quartetto sconosciuto al mondo. Il primo album, il self-titled “The Offspring”, vedrà la luce nel 1989, finalmente sotto una vera etichetta, la Nemesis Records. Dopo ben dieci lavori in studio e una consacrazione a livello planetario, arriviamo ai giorni nostri.

Il 2024 è l’anno di “Supercharged”, prodotto da Bob Rock e seconda pubblicazione sotto Concord Records, dopo il predecessore “Let the Bad Times Roll” del 2021. In questa occasione, la formazione, oltre ai due fondatori, è composta dal bassista Todd Morse, dal batterista Brandon Pertzborn (Black Flag), che sostituisce Josh Freese (ora ai Foo Fighters) e dal percussionista Jonah Nimoy.

Il titolo dell’album è decisamente esplicito. Dexter, Noodles e compagnia, ci vogliono dire che sono supercarichi e che questo non è un disco scontato e banale. La copertina strizza l’occhio all’illustre predecessore “Smash”, che quest’anno ha spento trenta candeline e rimane il lavoro più importante della band, con il suo record assoluto di vendite (undici milioni di copie vendute in tutto il mondo).

Le tracce sono soltanto dieci, per poco più di mezz’ora di ascolto ma questa non è necessariamente una cattiva notizia. Nessun interludio che faccia volume ma tanta buona musica che non annoia e ci riporta al passato, in proiezione futura.

Tornano le sonorità pesanti e veloci (per l’appunto) di “Smash”,“Ixnay on the Hombre” e “Americana”, con qualcosa di contemporaneo e ancora più fantasioso. Siamo ben lontani dal rock melodico di “Days Go By”, anche se non mancano episodi catchy e radio friendly come “Make It All Right” oppure “Ok, But This Is he Last Time”, power ballad molto ben riuscita che parla di un ultimatum in amore.

La tracklist parte energicamente con “Looking Out For #1”, che racchiude le tipiche soluzioni care al quartetto californiano, con un netto rimando ai Bad Religion, loro grande ispirazione.

La decisa accelerazione arriva con “Light It Up”, “The Fall Guy” e “Hanging By A Thread”, che provocano inevitabilmente headbanging, con la loro velocità e potenza, in pieno stile Offspring. Qui si sente ancora l’impronta delle bacchette dell’ormai ex Josh Freese, stessa cosa in “Come To Brazil”, che per un attimo ci costringe a chiederci se si tratti di un brano dei Metallica. Travestito da parodia thrash metal (non a caso abbiamo lo zampino di Bob Rock) e pieno di riff distorti, servirà ad ingraziarsi anche e soprattutto i seguaci sudamericani, se ce ne fosse ancora bisogno. E il finale con coralità da stadio, vale, da solo, il prezzo del biglietto.

Dai toni scanzonati e divertenti di “Get Some”, tra cazzeggio e goliardia (“Call the guards, kick some ass, burning hard, living fast”) si passa a quelli più hardcore e graffianti di “Truth in Fiction”, dai riff di tipico stampo Pennywise, altra storica punk rock band di Hermosa Beach, con un testo pieno di incazzatura da denuncia sociale:

“So call it truth to fiction, that’s exactly what it is

Society’s affliction, we replace the truth with myth”

“You Can’t Get There From Here” è la bella chiusura rock che rimanda sempre a soluzioni del passato, come accadde per esempio con “Change The World” (da “Ixnay On The Hombre”).

“Supercharged” è davvero un disco interessante. Serve a dirci che c’è ancora tanta energia da diffondere, nonostante il tempo sia passato, e a ricordarci che il punk degli Offspring non ha smarrito la sua identità.

La lunga pausa di nove anni prima della pubblicazione di “Let The Bad Times Roll” aveva preoccupato i seguaci della band, che ora è tornata a fare sul serio con un ruolino di marcia di tutto rispetto.

Il 2025 sarà l’anno del nuovo tour mondiale e settembre il mese che vedrà nel Belpaese la formazione capitanata da Dexter Holland. C’è ancora tanto tempo per ripassare i vecchi brani e far entrare in rotazione questi ultimi. Che sono già valida parte di una gloriosa storia.

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