Accadde che nel 1990 i due New Order forse meno lunatici, la dolcissima Gillian Gilbert ed il sempre sorridente Stephen Morris, rispettivamente tastierista e batterista, si uniformarono alla restante parte del nucleo decidendo di realizzare qualcosa al di fuori.

Con calma accademica, riordinarono le (poche) idee e misero mano ai sintetizzatori. Cercarono con insistenza Kim Wilde auspicando di assegnarle il ruolo di vocalist ma questa, reduce dai bagordi di fine anni ’80, gentilmente declinò più e più volte.

Venne fuori che i primi demo, sui quali alla voce si cimentò Gillian, piacquero o perlomeno convinsero il duo al punto di adottare la soluzione in pianta stabile.

Niente di nuovo sul fronte del sound. O meglio: è un sentiero che i New Order avevano accarezzato con 'Technique' sposandolo definitivamente nel 1993 con 'Republic'. Un’elettronica morigerata, di livello, attenta ai dettagli ma senza perdersi nel marasma di una produzione certosina, dettaglio che rappresenta probabilmente il punto debole del disco. Che plana dolcemente senza mai decollare. Per dire: Sumner e Marr, con il progetto Electronic, ecco, loro sì alzarono l’asticella, e di molto, pur rimanendo nel seminato.

Nel 1991 l’album era pronto ma la Factory, già artefice del lancio del primo singolo (la squisita "Tasty Fish"), collassò sul più bello lasciando la coppia con un palmo di naso.

"Tasty Fish" non spaccò le chart, ma la London Records si convinse ad acquisire il progetto diversamente destinato a morire (o a perdersi nei meandri dei masters mai realizzati ndr) ma passarono due anni: un periodo terribile se correlato alla frenesia di quel frangente che transitava tra i due decenni.

Comunque, il secondo singolo apripista, “Selfish”, aprì maggiormente la breccia dei consensi e mise le ali al progetto.

Sviscerando il disco, non si apre un vaso di pandora; però, si trovano perle da salvaguardare e tramandare ai posteri.

Spensierati, ma con linea melodica di livello e anche piuttosto radiofonica i tre singoli: "Tasty Fish", "Selfish" e "Innocence".

Ancor più degne di nota, però, le sobrie e seriose “The Greatest Thing” e “Feel This Love”, le quali da sole, parere di chi vi scrive, valgono il prezzo del biglietto.

Il resto è poca cosa: niente che non fosse già stato visitato, o rivisitato, o sperimentato. Traspare, nelle altre tracce, una stanchezza di riporto probabilmente vidimata dalla lungaggine causata dalle problematiche di realizzo del prodotto finito.

E risulta difficile, per l’ascoltatore, non skippare in taluni frangenti perché l’ascolto si fa monotono, avulso, tiepido.

Il giudizio nel suo complesso è positivo per gli episodi di cui sopra, tant’è che il lavoro verrà riproposto in edizione limitata e rimasterizzata nel 2010, con tanto di booklet che racconta le fatiche, le aspirazioni e le disavventure di quegli anni in chiaroscuro.

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