Ladbroke Grove si estende all'interno della Greater London, arteria pulsante del tessuto urbano alternativo, crocevia di artisti che nel decennio '80 invadono la capitale in cerca di affermazione e fortuna. Musicisti di buone speranze, new bohemien della nascente scena post punk e bislacchi soggetti in cerca di lidi felici invadono nei week end, sulle tracce di pinte a buon mercato (meglio se gratis!) e di una delle tante case occupate dove passare la notte a smaltire la sbronza, la zona tra la suddetta main street e la contigua Portobello Road, una sorta di Haight-Ashbury all'inglese (musicalmente e storicamente differente, beninteso) fino al numero 66 di Golborne Road dove campeggia sulla porta di un negozio di dischi la scritta "Rough Trade", epicentro di tutte le dinamiche descritte in questa pagina. Gina Birch, amante dell'arte concettuale, giovane studentessa di Nottingham, giunge a Londra per proseguire gli studi all'Hornsey Art College e, in una delle sue serate in giro per i club di Ladbroke Grove, si imbatte in un live delle Slits. Questo episodio muta l'ordine della sua vita, rapisce la giovane a tal punto che, in poco tempo, mette in piedi una band tutta al femminile in cui lei imbraccia il basso, il belafon (strumento originario del Mali) e si adopera come vocalist, Ana da Silva (di origini portoghesi) è alla voce e chitarra e Vicky Aspinall al basso e violino (nella formazione hanno transitato anche musicisti maschili e Palmolive delle Slits per un breve lasso di tempo). Geoff Travis, proprietario del negozio di dischi sopracitato, che nel frattempo ha deciso di produrre alcuni artisti scovati in giro nei club, ascolta le Raincoats e, affascinato dalla prova, decide di metterle sotto contratto nella sua nascente scuderia. La scelta viene premiata con due capolavori di rara bellezza, l'omonimo "The Raincoats"del 1979 e "Odyshape" del 1981, destinati ad apporre una importante epigrafe sulla musica a seguire.

"Odyshape" sconvolge per le sue influenze esotiche e per le insolite aree musicali che toccano addirittura il new jazz, ispirazioni di Gina Birch maturate nell'origliare gli ascolti di uno dei suoi tanti coinquilini che prediligeva Ornette Coleman e Miles Davis. Lavoro dalle complesse tematiche riguardanti le discriminazioni perpetrate sulle donne ed il loro ruolo confinato e marginale nella società, quest'album colpisce fin dalle prime note per l'infinita ricchezza di suoni non convenzionali ai diktat del momento e per le brillanti liriche focalizzate sul difficile mondo di abitudini e preconcetti troppo ardui da sradicare.

Sincero ed etereo il sound di "Odyshape" fluisce nelle spirali di nove tracce, senza infingimenti, pragmatico e allo stesso tempo complesso come pochi, ad iniziare dalla imprevedibile e discontinua "Shouting Out Loud". Si prosegue con la grottesca e apparente ilarità di "Familiy Treet", l'oscura "Only Loved At Night", l'ammiccante ballata dub "Dancing In My Head" con Richard Dudanski dei P.I.L. alla batteria, le bipolari dissonanze della omonima "Odyshape", "And Then It's O.K." che vede l'ennesima collaborazione alla batteria, questa volta nientepopodimeno che Mr. Robert Wyatt. La misteriosa aura di misticismo di "Baby Song", l'ossessiva litania di suoni di "Red Shoes" e la finale "Go Away" con Charles Hayward alla batteria, collega di etichetta con i This Heat (presente anche in "Family Treet") sugellano la cifra stilistica di questo incredibile lavoro.

Il tempo, incorruttibile giudice di vita cernisce storie, aneddoti e momenti nelle strette maglie della sua rete, filtrarando l'infinitamente puro, la preziosa essenza che resiste alle sue dure leggi. A trentacinque anni di distanza "Odyshape" continua a svelarsi poco alla volta, superbo e ammaliante, ad ogni ascolto recluta nuovi appassionati e ingrassa una già ricca schiera che annovera nomi come Kurt Cobain ed i Sonic Youth. Nere nuvole all'orizzonte promettono pioggia, é una buona occasione per tirar fuori gli impermeabili!

Carico i commenti... con calma