"Tuesday Weld": attrice americana. Mai sentita in vita mia. "I, Lucifer": non uno, ma due libri, di Peter O'Donnell e Glen Duncan; che tralaltro non conoscevo mica fino ad oggi.

No, io invece vi parlerò di questo languido album e di questa banda piuttosto strana. Non tanto per il fatto che il rock di questi britannici musicisti, capeggiati dal cantante Stephen Coates, è stato pesantemente inzuppato nelle atmosfere jazz-cabaret della prima metà del secolo passato, e neanche perché in questo album troverete pianoforti, fiati, archi e musica elettronica. Assieme.

Quello che fa impennare il mio sopracciglio è come nello stesso album si possano ascoltare pezzi come "Bathtime in Clerkwell" e "One More Chance"; o di come si sia scelto di aprire il medesimo col nostro bagnetto di Clerkwell e chiuderlo con "Pearly Gates". Infatti dopo un discorsetto iniziale, attaccherà la fatidica seconda traccia. "Bathtime in Clerkwell", diciamocelo chiaro e tondo, è un pezzo house. Ma lo è alla maniera di come poteva esserlo ai tempi il Bolero di Ravel. Sostanzialmente (vi consiglio di vedere il video) sentirete il crescendo delle solite tre parole incomprensibili, con un beat/contrabbasso molto forte e qualche benaccetta intermissione dei fiati. È un pezzo folle, senza dubbio, ma in realtà anche dannatamente conforme ad una scelta stilistica ben precisa. Incommentabile in altri modi. A me piace, è un motivetto allegro. E questa venatura elettronica la ritroviamo in "The Life And Times Of The Clerkenwell Kid", dove col sottofondo molto più cupo, l'altrettanto fosco Coates si alterna a tutta la strumentistica presente nell'album. Invece "The Ugly & The Beautiful" (o la controparte con la chitarra acustica "La Bete Et La Belle") e "The Eternal Seduction Of Eve" sono vere e prorie canzonette, più o meno prive di virtuosismo alcuno, caratterizzate da un certo retrogusto francesino...

"(Still) Terminally Ambivalent Over You" non lo sottovaluterei: anche qui il ritmo è spasmodico ed ammiccante, e sembra essere raggiunto l'equilibrio tra strumentistica ed elettronica. "The Show Must Go On" è il pezzo più godibile: la melodia è molto simpatica, gli assoli sono azzeccatissimi ed ancora una volta rimango sorpreso dal ritmo (preso in prestito da chissà quale locale degli anni 30...). Bello pure il titolo.
Nel finale se "Heaven Can't Wait" è un bel pezzo di puro assolo, "The Pearly Gates" è invece qualcosa di piatto, immobile, morto e mortuario. Qualcosa che ti viene voglia di mettere la parole FINE ad un disco che ha una traccia di troppo.

Questo disco mi fa pensare come negli ultimi tempi sembrano tornate alla ribalta le voci maschili basse: Coates non sfigura, anzi ci accompagna con tenerezza attraverso questo cammino nel genere "Old Beats" (termine inventato da loro stessi). Eppure ho avuto l'impressione che il suo registro naturale fosse un tantino diverso. Segno che c'è grande impegno da parte sua, e quindi sarebbe da premiare. Per quanto riguarda la "mera sostanza musicale", questo non è da intendere né come un disco jazzrock, né come l'ennesimo capolavoro dadaista postrock-poprock. È musica sperimentale, a tratti noiosa e melanconica, ma non priva di inventiva e fantasia.

Un consiglio: provatelo ad ascoltare con la vostra ragazza, potrebbe avere risvolti interessanti (solo se siete tipi particolarmente romantici!)

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