Non nascondo di avere una certa invidia per tutti coloro che sono nati nella seconda metà degli anni '40.
Il motivo? Beh, semplice: avrei avuto più o meno vent'anni quando nei negozi di musica usciva un capolavoro dietro l'altro. E un capolavoro è "Aftermath", un album fondamentale per più ragioni. Innanzitutto perchè rivela definitivamente le qualità di Jagger e Richards non solo come performers ma anche come autori di canzoni; poi per l'importante apporto che dà il geniale Brian Jones suonando più strumenti e definendo le sonorità di ogni canzone. Alla fine ci troviamo di fronte a una manciata di canzoni sensazionali.
Per avere le idee più chiare siamo nel 1966 e gli Stones hanno comunque già realizzato alcune gemme quali l'immortale "Satisfaction", "Last Time" (ripresa dai Verve di Better Sweet Simphony ) e "Heart Of Stone" ; i Fab Four invece sono già all'apice della popolarità avendo appena pubblicato l'eccezionale Revolver e i The Who hanno pubblicato due album e hanno già sconvolto l'Inghilterra con la loro "My Generation"
Tornando ad Aftermath c'è da distinguere la versione inglese con "Mother's Little Helper" e quella americana con la celebre "Paint it Black". Se c'è una pecca in questo album è proprio il mancato inserimento di entrambe in una stessa versione. Si tratta infatti di due classici del complesso londinese. La prima è sicuramente accattivante dal punto di vista musicale ma forse ha il suo punto di forza nel testo: è infatti il racconto di una casalinga che, stanca della vita che conduce, si rifugia nelle pillole. La seconda in realtà non avrebbe bisogno di presentazioni: oscura, ipnotica e ammaliante. La peculiarità è il sitar suonato da Jones. Tra i massimi vertici degli Stones.
Ma splendida è anche "Lady Jane" in cui una dolce chitarra acustica supporta un testo controverso, (è dedicata a una donna o a una droga?) . Inspiegabilmente non considerata nella raccolta "Forty Licks". Da segnalare ci sarebbe pure "Under My Thumb" col suo particolare arrangiamento, la beat "Out Of Time" e la irriverente "Stupid Girl".
Innovativi per i tempi invece, sono certamente gli 11 minuti di "Going home", un blues reiterato che vede protagonista un animalesco Jagger. Per il resto si tratta di ottimi brani rock-blues come "Doncha Bother Me", "Think", "Flight 505" (quest'ultima però con un intro un pò troppo simile a "Satisfaction") che proseguono un discorso già intrapreso negli anni precedenti.
Questo è solo l'inizio: i Rolling Stones negli anni a venire sforneranno un capolavoro dietro l'altro fino al 1972, l'anno di "Exile On Main Street", meritando l'appellattivo di miglior gruppo rock della storia.
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