L'ultimo disco pubblicato dai Silencers lo si può senz'altro definire il peggiore della loro intera discografia. Non che manchino i sapori celtici che contraddistinsero l'intera parabola artistica di Jimme O'Neill e del suo alter ego Cha Burns, in questo disco assente poiché già gravemente afflitto da un male che lo portò alla recente dipartita. Al contempo sono ben presenti gli episodi di ammaliante wave folk e wave rock. E qui Jimme, non più la voce algida d'un tempo, anzi piuttosto rauco (da sembrare a volte Richard Marx), diviene fruibile quanto non riuscirebbe ad esserlo il superradiofonico James Blunt nei suoi singoli di folkpop... C'è anche il singolo catchy, il beat-rock celtico-indiano-british di "Siddharta", piena scorrevolezza, divertimeto-piattume...

Ed allora cosa vi sarebbe che tiene lontano "Come" dall'essere un altro "So Be It", un altro "Seconds Of Pleasure", pur non volendolo accostare al superbo "Dance To The Holy Man"?

Il primo problema di O'Neill è trovare la giusta collocazione per la figlia Aura, vocalist aggiuntasi alla line up nel precedente disco. La sua vocetta da suora di campagna si rende molto utile per allargare il respiro dei brani cantati da papà, e le sue seconde voci, i suoi vocalizzi dietro al buon Jimme funzionano a dovere. Diversamente, le difficoltà affiorano quando la bella Aura è l'interprete unica. La sua voce è tecnicamente molto buona ma l'interpretazione a volte pecca di spessore, appiattendo il livello dei componimenti che il paparino s'è premurato di metterle a disposizione. Ma anche sui componimenti serviteli da Jimme avrei qualcosa da ridire.

Jimme O'Neill è stato anche un autore per altri, principalmente durante la prima fetta degli anni '80, prima di rimettersi al mike coi Silencers, e pertanto ben sa cosa voglia dire scrivere una canzone per un artista con cui magari s'ha poco da condividere come gusti e dal punto di vista stilistico. Epperò, sebbene la ninnananna della titletrack tenga botta, "I Belong" è una pop ballad così sdolcinata e banalotta che, anche decontestualizzandola dal disco e dal suono della band, troverebbe difficilmente spazio in un disco della qualsivoglia interprete pop femminile. Difficile anche prendere "Alchemy" (questa si che ci starebbe bene dentro al disco d'una pop star), dal retrogusto da juke-box anni '60, e farla stare "a suo agio" dentro ad un disco celtico, il tutto grazie esclusivamente alla voce di Aura ed ai soliti arrangiamenti.

O'Neill, comunque, gli va dato atto, si riprende sfidando se stesso e la sua perpetua predisposizione-predilezione per la chanson da 3-4 minuti e dal formato normale-regolare: "Head" è sette minuti di accelerazioni e frenate. Certo, non sono i primi U2 di solennità e violenza, ma qui si parla di frenate ultraromantiche e contropiedi di rock britannico vecchio stile. Anche con "Time" sembra voler superare il confine dell'orecchiabile e basta: partendo dalle sue radici etniche, raggiunge altezze rockettare da primato personale. Tutto ciò, anche se porta al conseguimento di un risultato alquanto approssimativo, segna forse la capacità (e/o la voglia?) di O'Neill d'andare oltre "the sound of Silencers".

Fatto sta che comunque questo cd del 2004 è a tutt'oggi l'ultimo della band, il cui sito internet promette da tempo l'uscita di una prova solista del suo leader, uscito da pochissimo, su cui non ho ancora avuto modo di mettere mano. L'ultimo in ordine cronologico e per qualità. The last and the least. Forse per sempre.

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