18 Maggio 1980.
Scritta così, questa data potrebbe significare tutto e niente.
Quel giorno fu trovato suicida nel suo appartamento Ian Curtis, singer e mente dei Joy Division che, anche grazie al suo estremo gesto, fece sì che la sua creatura entrasse nel firmamento di quei pochi gruppi che sarebbero diventati, in seguito, musa ispiratrice di centinaia di adepti più o meno validi.
26 Aprile 1999.
Quasi sotto silenzio nel panorama delle majors e dei programmi musicali dominati sempre più dalle lobby che decidono cosa portare al successo, a 52 anni si spezza contro un treno la vita di Adrian Borland, cantante, compositore e chitarrista dei Sound.
Ovverosia di una delle band più ingiustamente sottovalutate del movimento dark e new wave che ha portato al successo gente come Cure, Siouxsie e compagnia bella.
Questo “From the Lions Mouth”, oltre ad essere un prodotto di ottima fattura, tanto da non sfigurare assolutamente al confronto con dischi come “Pornography”, “Juju” o, lo stesso “October” degli U2, usciti più o meno nello stesso periodo, rappresenta un progresso stilistico rispetto al seppur lodevole debut “Jeopardy”, forse un po’ più acerbo e grezzo, fatto questo dovuto alla presenza di sfumature più punkeggianti.
L’album in questione, invece, si distingue dal suo predecessore per le sua atmosfere più rilassate e, quindi, per la carenza delle schitarrate di Borland, accompagnata dalla parte ritmica, che aveva contraddistinto in Jeopardy pezzi come “Missiles”, “Heyday” e “Resistence”, per citare, a mio giudizio, le canzoni più rappresentative.
La mano di Borland, in “From the Lions Mouth” si fa più dolce ed intreccia melodie magiche che ti prendono inesorabilmente dalla prima all’ultima track.
L’opener “Winning” è di quelle aperture che ti lascia senza fiato, dove gli arpeggi di Borland si stagliano sul tappeto ipnotico di tastiere che l’accompagnano per tutta la durata della canzone.
Ma tutte le gemme di quest’album meritano grande attenzione sia negli episodi più psichedelici come la bellissima “Judgement”, dove la voce di Borland diviene malinconica e sofferta, toccandoti profondamente come solo il compianto Curtis saprebbe fare, e “Silent Air”, dalle sonorità suadenti ed aggraziate, di una particolare forza suggestiva, che in quelli tipicamente più wave e dagli accenni più dark come “Sense of Purpose” che potrebbe sostare senza problemi in “Seventeen Seconds” dei Cure,  “Skeletons” e “The Fire”, le canzoni più ritmate dove il basso acquista velocità e gli assoli di Adrian si contrappongono perfettamente al suo cantato più deciso e corposo.
Ma l’episodio migliore, forse, è da ricercare in “Possession” in cui la voce di Borland sembra davvero posseduta da quella di Ian, in cui aleggia un ambiente cupo ed affascinante.

26 Aprile 1999.
Una data da ricordare quanto il 18 Maggio 1980.
Con la speranza che i Sound raggiungano quel firmamento in cui sostano da quasi un trentennio i Joy Division, e che Adrian Borland possa rappresentare in futuro la stessa musa ispiratrice che per lui è stato Ian Curtis, con cui è accomunato dalla stessa tragica fine.

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