Anno 1969.

Il mondo della musica riceve uno dei più violenti pugni allo stomaco mai sferrati prima, e lo fa in maniera totalmente rivoluzionaria: questo è punk. Beninteso, il punk non era ancora nato, ma questo album mostra come la storia a volte contiene potenzialmente tutto ciò che accade regolarmente in futuro, e “The Stooges” (album d’esordio omonimo della band) ne è la conferma. Proto-punk è stato chiamato, ma la musica e lo spirito sono già punk, sicuramente non ancora esploso in movimento musicale, come nel ’77; l’anarchia, la perversione, il desiderio di infrangere tutte le regole qui sono perfettamente evidenti, ed anche la paranoia e la frustrazione tipiche di una città come Detroit (dove si è formata la band), esclusa dai vari movimenti neo-culturali di città come San Francisco o Los Angeles… o magari New York, patria dei “fratelli maggiori” Velvet Underground, band tanto importante oggi quanto sottovalutata dalla critica e dal pubblico negli anni sessanta.

In “The Stooges” c’è tantissimo dei Velvet: innanzitutto lo spirito e poi la produzione di John Cale, viola dei newyorchesi, il quale tra l’altro ci mette anche lo zampino nelle musiche qui e lì. Il disco si apre con “1969”: la chitarra di Ron Asheton inizialmente fa il verso a Jimi Hendrix per poi esplodere in una distorsione conturbante, di quelle che non si erano mai sentite prima (la tecnica è grezzissima, tanto da influenzare milioni di chitarristi in futuro, punk su tutti), con il cantato paranoico di Iggy Pop, povero di lirismo ma ricco di rabbia e frustrazione; è impossibile restare immobili, la visceralità è palese. Si passa poi a “I Wanna Be Your Dog” e il suono della chitarra sembra uscir fuori da una pattumiera. Decadenza e perversione sono le costanti del brano, in cui Iggy Pop declama in tutta sincerità le sue devianze: mai nessuno era stato così radicale.

Il terzo brano, “We Will Fall”, mostra come la band sappia toccare l’inconscio oltre alle membra, anche se l’influenza di John Cale si sente tantissimo, suonando la sua viola solo come aveva già fatto con i Velvet Underground. Il minimalismo qui è fondamentale, il brano dura più di dieci minuti, in cui un coro malefico intona perennemente la formula magica “Oh gi ran ja ran ja ja ran” mentre l” Iguana” declama sempre i suoi desideri più reconditi, tanto che l’impressione è quella di essere partecipi ad una seduta spiritica. Con “No Fun” si torna al pogo (giungendo ad uno dei momenti più intensi dell’album): la prima parte racconta la solitudine umana, magari in seguito ad un abbandono, ancora una volta in maniera molto radicale, per poi esplodere in assoli di chitarra lancinanti seguiti da urla brutali dell’Iguana (in quel “well, come on!” è racchiuso tutto il dolore della solitudine); qui Iggy “Stooge” piange, urla, ulula, con gemiti che soltanto Alan Vega anni più tardi ha saputo rivalutare in maniera ancor più angosciante.

Real Cool Time” è un pezzo esplosivo, scoppiettante, con un wah hendrixiano che dà al tutto un’atmosfera dionisiaca. In “Ann”, uno dei pezzi più “pacati”, sembra che Jim Morrison abbia sposato la chitarra di Hendrix, creando un clima molto perverso, quasi a voler mostrare le due facce dell’amore (l’aura dei Doors era già presente in “We Wil Fall”). “Not Right” e “Little Doll” concludono l’album alla perfezione sempre restando in tema di frustrazione e desideri erotici repressi. Insomma, il rock degli Stones è diventato molto più violento e distorto, e le performance live di Iggy Pop non hanno precedenti, raggiungendo livelli di oscenità clamorosi (insieme alle esibizioni fulminanti degli Mc5, altra band di Detroit). La città dei motori ha detto la sua.

Chi poteva mai immaginare che dal letame sarebbero nate tali rose? D’ ora in poi nulla sarà più lo stesso: la California ha tentato inutilmente (forse…) di rendere il mondo più bello e libero, ma alla fine del ’69 si son dovuti ricredere; il mondo non è cambiato, anzi, è ancora più malato, e gli Stooges sono l’emblema del fallimento di quell’utopia di pace e amore che non è stata più rivalutata negli anni a venire.

Questo è Rock’n’roll!

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