La crisi economica è evidente e lampante e, anche quest'anno, mi ritrovo a fare le poche e misere vacanze nella casa dei nonni paterni nel finalese. Qualche giorno fa, seguendo una nuova rivista on line dal titolo MAT 2020, che pare voglia rispolverare per tipologia e format il vecchio Ciao 2001, vedo che al Complesso Monumentale del Priamar di Savona suonano i The Watch, band italiana con una discreta produzione propria, ma che dal vivo, più spesso, propone il repertorio dei Genesis anni '70. I chilometri sono pochi, il prezzo è abbordabilissimo, la finalità è di beneficenza per l'addestramento dei cani guida per i non vedenti e quindi decido di andare.

Sappiamo bene che in Italia e nel mondo decine e decine di gruppi si propongono come cover band dello storico inglese e ognuna tenta, nel proprio piccolo e con i propri mezzi, di rappresentare la massima fedeltà di suoni e di esecuzione dei brani originali. Brani che, sappiamo bene, sono davvero di difficile esecuzione. Ma se, solitamente, possiamo riprodurre in maniera fedelissima i suoni di tastiera, di chitarra e di basso restano sempre le incognite della batteria, nella quale i suoni sono sposati a tecnica molto personale e, nel caso di Phil Collins, una signora tecnica e della voce, la vera nota dolente. La peculiarità dei The Watch sarebbe quella di avere un cantante (Simone Rossetti) dotato di un timbro praticamente identico a quello di Peter Gabriel, facendo di questo gruppo un caso davvero unico nel panorama dei ripropositori genesisiani.

Il Pomeriggio si apre con un temporale devastante, quasi due ore di pioggia che avrebbero messo in allarme qualsiasi organizzazione. Ma già verso sera la situazione cambia e una telefonata ai vigili urbani mi conferma che il concerto si farà.

Alle 9,05 arrivo sul posto, compro il mio biglietto, mi piazzo centrale verso le ultime file e aspetto trepidante, vedendomi per 4 volte di filato il documentario sull'addestramento dei cani per non vedenti, quasi commovente la prima volta e via, via sempre più noioso e tediante. Il gruppo sale sul palco alle 9,40.

Aiuto! Volumi bassissimi, band fredda e impacciata in una "Watcher of the Sky" che, invece, dovrebbe aprire con impatto clamoroso. Chitarre a volumi altissimi e tastiere appena percettibili. Mi domando se chi sta facendo i volumi abbia una vaga idea di cosa siano stati i Genesis e di quanto le tastiere abbiano ruolo dominante o se forse questo immagini di essere al mixer di una cover band di rock chitarristico. La batteria si sente bene per rullante, cassa e charleston, i tom quasi non si sentono. La preoccupazione sale con l'entrata del cantante: vero, timbro molto simile a Gabriel, ma questo non è il suo timbro naturale, questo fa l'imitatore, la voce è impostata, forzata ad uscire con questo stile. Addirittura l'imitazione arriva alla particolare modalità di Gabriel di porre le vocali. Non mi piace, ma andiamo avanti. "Can Utility and the Coastliners", ancora tastiere basse, l'assolo di accordi e l'assolo monofonico quasi invisibili e la chitarra esageratamente alta. Alla voce tendo a far l'abitudine, penso che chiudendo gli occhi, forse, non si notino gli sforzi (anche facciali) per produrre l'imitazione.

Per fortuna dalle prime file qualcuno urla di alzare i volumi delle tastiere e persino la band ringrazia. Tanta approssimazione nello svolgere il mestiere di service, la trovo sempre più intollerabile.

Il concerto prosegue e le cose migliorano: "Firth of Fifth", salvo qualche lievissima imprecisione fila via bene, due brani propri della band, fanno la loro buona figura, anche se di composizione un po' troppo pedestremente Genesis. Molto buona "Robbery, Assault and Battery", decisamente ottima la suite "Supper's Ready" pur con un buco (credo tecnico) nell'assolo di tastiere della parte in 9/8, ottima anche la strumentale "Los Endos". Molto buone anche le due estratte da Nursery Cryme "The Fountain of Salmacis" e "The Return of the Giant Hogweed". Per il bis arriva "The Knife", che - non so neppure bene il perché - è il brano che meno amo dei Genesis. Comunque buona la sua riuscita.

In conclusione posso approvare e promuovere lo spettacolo nella sua complessità. Strumentisti tecnicamente molto, molto bravi e preparati, specie il tastierista Valerio De Vittorio, che ho trovato centratissimo sullo stile Tony Banks, un poco più aggressivo, rispetto ad Hackett, il chitarrista Giorgio Gabriel, ma bravissimo in precisione ed esecuzione. Bravo e sempre ben presente il batterista Marco Fabbri anche se ho notato più di un momento in cui tende ad accelerare, particolare è stata "Giant Hogweed" già partita piuttosto veloce ma con un'assolo di chitarra, prima del finale, fatto rientrare faticosamente a causa dell'eccessiva velocità raggiunta. Bravo ma un po' in sordina il bassista Andrea Garbellotto soprattutto se paragonato al gigantesco originale di Rutherford nell'economia dei Genesis. Il cantante, infine, ha fatto una buonissima riuscita. Tenere la voce tutto il concerto non è facile, soprattutto con una "Supper's Ready" in mezzo, resta quella modalità imitativa che mi è un po' pesata, comunque ottimo come intonazione, bravo al flauto e (quasi) perfetto nelle tempistiche di entrata.

Ho apprezzato moltissimo la loro sobrietà, lontana anni luce da mascherate, ostentazioni, simulazioni di sfondi e proiezioni ecc. e il loro presentarsi umanamente e sottovoce, con umiltà, calore e passione, forse tipici anche di altre cover band, ma molto evidenti in loro.

Concludo: se vi capitano andate a vederli.

p.a.p. Sioulette

p.s. la foto è tratta dal sito, non conosco l'autore. 

Carico i commenti... con calma