Qualche mese fa, non appena era stata resa nota la notizia della prevendita dei biglietti del concerto, avevo detto chiaramente all'amico ed ex collega di lavoro Nicola che ero incerto se andare a vedere gli Who a Milano. Ma lui, estimatore quanto me della buona musica e anche fan acceso della band britannica, mi aveva alla fine convinto della bontà dell'idea. Personalmente, in vita mia ho assistito a molti concerti di vari musicisti sia stranieri, sia italiani e però, da vari anni, mi sono impigrito e opto per vedere concerti del passato reperibili in rete o eventualmente guardare DVD dedicati a storiche esibizioni delle maggiori rock band. Ma in considerazione del fatto che gli Who si erano esibiti al Palalido di Milano solo nel lontano febbraio 1967, mi sono deciso a fare un'eccezione, vincere certa pigrizia e provare a vedere il concerto dei superstiti Who presso il Parco della Musica a Segrate, comune limitrofo a Milano, lo scorso martedì 22 luglio. E tutto sommato il buon Nicola ha avuto ragione perché, con tutti i limiti immaginabili di due rockers superstiti, ne è valsa la pena assistere allo spettacolo.

Trattandosi di concerto all'aperto in una bella serata estiva, la mia precauzione è stata quella di cospargere il corpo con il provvidenziale Autan, proprio per gustare al meglio l'evento. Idea geniale indubbiamente , notando fra l'altro che parte degli spettatori (calcolati sui 10000) tendevano a schiaffeggiarsi durante lo spettacolo per eliminare i fastidiosi mosquitos assetati di dolce sangue umano (de gustibus...). Lo show non è preceduto da eventuali gruppi di supporto, ma per ingannare l'attesa sullo schermo posto sul palco scorrono immagini dei giorni felici degli Who, quando erano un quartetto comprendente non solo Pete Townshend e Roger Daltrey, ma pure i trapassati Keith Moon e John Entwistle. Inutile dire che , me compreso, si avverte un certo rimpianto per quel frangente storico ricco di buone vibrazioni.

Ma a questa atmosfera subentra puntuale alle ore 22.00 l'avvio del concerto e tutti gli spettatori, fra cui anche una buona percentuale di giovani delle ultime generazioni (buffo considerare che ai tempi di"My generation" non fossero nei pensieri degli attuali nonni) acclamano il gruppo residuo dei gloriosi Who. Oltre ai superstiti Roger Daltrey (abbastanza tonico) e Pete Townshend (più calvo che dotato della folta criniera giovanile), si notano Scott Devours ( percussioni), Simon Townshend ( chitarre), Jon Button ( basso), Loren Gold (tastiere), Jody Linscott (percussioni) e John Hogg (cori). Un organico folto che ingrana subito alla grande con una dedica affettuosa ad un altro eroe del rock deceduto in questi giorni, ovvero Ozzy Osbourne fondatore dei Black Sabbath. A lui è indirizzato il brano di apertura "I can't explain", uno dei primi successi degli Who, con tanto di dedica "for Ozzy, God bless him".

Lo show si snoda poi passando in rassegna le migliori composizioni di una lunga carriera. Senza eseguire brani dagli album "Endless wire" e "Who", il meglio non viene risparmiato. Va detto che, senza nulla togliere alla professionalità dei musicisti sopra elencati, il fulcro del sound espresso è opera dei due ottuagenari Roger Daltrey e Pete Townshend. Il primo ogni tanto fa ancora roteare il microfono ma è più contenuto nel gesticolare, sfoderando una vocalità ancora ruggente (a mio avviso è sempre stato uno dei migliori sulla scena rock, insieme a Robert Plant). E basta al riguardo sentirlo intonare certi cavalli di battaglia come "Babà O' Riley", "Who are you?", "My generation", fino a "Won't get fooled again" con tanto di urlo finale da brividi. Niente male per un cantante che si è dovuto sottoporre pochi anni fa ad un intervento alla gola per togliere un incipiente cancro .

Il buon Pete, invece, mantiene una presenza scenica elegante, scevra ormai delle giovanili piroette (al cui confronto il calciatore italiano Paolo Rossi sembrava un atleta impacciato) ma sempre accompagnata ad una tecnica chitarristica robusta come confermato in questo concerto milanese, in cui Townshend ogni tanto accenna a quel suo modo originale di pizzicare le corde denominato "windmill".

Si arriva al termine del concerto, dopo quasi due ore e nell'entusiasmo generale, con il brano trascinante "The song is over" che suggella l'epilogo di una bellissima vicenda musicale partita a metà degli anni '60 nell'allora Swingin ' London e propagatasi in tutto il mondo.

Dopo un'esibizione così intensa, non priva peraltro di qualche limite legato alla prossimità del Parco all'aeroporto di Linate (acustica non sempre perfetta), rivedere i due arzilli rockers insieme sul palco non sarà facile. Non nascondo il fatto che ho pensato a come potessero essere memorabili i concerti degli Who originari (e se si vuole una conferma di ciò basta rivedere la loro esibizione al festival di Wight nel 1970, ancora disponibile su YouTube). Ma certamente mi porterò sempre appresso il ricordo di una serata vissuta all'insegna di uno slogan sempre valido: "Long live rock!". Forse è proprio questo un elisir di lunga giovinezza...

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